Matteo Righetto, “Il richiamo della montagna”: attraverso la narrazione del disastro, un grido d’allarme e un monito si trasformano in una proposta culturale

Matteo Righetto, Il richiamo della montagna: attraverso la narrazione del disastro, un grido d’allarme e un monito si trasformano in una proposta culturale

@ Rinaldo Caddeo, 13 marzo 2025

Il saggio di Matteo Righetto, Il richiamo della montagna, è provvisto, come la Commedia di Dante e il Decameron di Boccaccio, di un orrido cominciamento e di un lieto fine.
L’orrido cominciamento è la peste dei nostri giorni, l’inferno dei nostri peccati sulla terra: il riscaldamento globale.

«Io non riesco a dimenticare quei maledetti dieci secondi della Marmolada.
Era il 3 luglio 2022, ore 13.30. Una domenica.»

È l’inizio del libro. Un buco nero del tempo. Un inghiottitoio della storia. Che cosa succede in quei dieci secondi?

Viene colpito a morte il destino di una montagna. Il millenario ghiacciaio della Marmolada, il più grande delle Dolomiti, ridotto al 10% in un secolo, in dieci secondi è franato. Un seracco, collassando a 3000 metri, provoca un’onda nera di ghiaccio, neve e rocce che precipita per più di mille metri. Undici le vittime.

La Marmolada è solo una montagna? No, come non possiamo pensare ai nostri genitori o ai nostri figli come a un ammasso di ossa e carne, così non possiamo pensare a una montagna come a un cumulo di detriti. La Marmolada, come e più di altre montagne, è una persona, compagna di vita, luogo dell’anima, vittima come noi del global warming.

L’autore fa un passo indietro e ci parla della Tempesta Vaia, un tifone tropicale che alla fine dell’ottobre del 2018 si abbatte, con un fronte di centinaia di chilometri, su Lombardia e Trentino, con raffiche tra i cento e i duecento chilometri all’ora. Porta morte e distruzione tra Veneto e Alto Adige. Rade a suolo milioni di alberi.
La catastrofe è narrata, giorno dopo giorno, ora dopo ora, dal punto di vista di Silvestro e di Agata.
Silvestro Laresèi ha 52 anni. D’estate fa il muratore, d’inverno lavora come stagionale presso il comprensorio sciistico del Civetta. Ce l’ha con gli ambientalisti e con Roma. Vorrebbe aumentare piste da sci e impianti di risalita, e chi se ne frega degli alberi e delle foreste. È burbero ma prende parte anche alle squadre di soccorso. Con l’arrivo di Vaia bestemmia, grida al cielo, ma poi spala con gli altri il fango dalle strade del paese e piange dopo il disastro.
Agata Colcùc è una vegia di 84 anni. Vive e se la cava da sola in una piccola frazione in Val Cordevole: coltiva l’orto e accudisce il suo piccolo pollaio. I suoi tre figli sono emigrati, due in Germania e l’altro in Svizzera. Agata, anche se non ha studiato, come altre protagoniste dei romanzi di Righetto, come Tina ne Il sentiero selvatico o come Jole ne L’anima della frontiera, a differenza di Silvestro, ha il presentimento del pericolo e possiede l’intuito, un sesto senso, che è quello degli animali e dei matti, per ascoltare la natura e per capire il male oscuro fatto dall’uomo.

Quale male?
Deforestazione, cementificazione, inquinamento, gas serra, perdita di biodiversità, sono le cause scientifiche di Vaia e del ritiro dei ghiacciai sulle Alpi e in tutto il mondo.
L’autore affronta, però, un’analisi più profonda che lo porta a fare i conti con le cause culturali di questo male: il consumismo, l’individualismo, la frenesia edonistica, hanno cancellato il tempo, il passato e il futuro. Esiste solo il presente, l’attimo, il consenso immediato, il soddisfacimento simultaneo.
Righetto, docente di letteratura, autore di romanzi colti e popolari, presidente della Sezione di Livinallongo del C.A.I., ha riversato in un impegno civile questa battaglia per recuperare, con gli altri e per gli altri, il silenzio e la bellezza, per liberare i fianchi delle montagne dallo sfruttamento dell’iper-turismo. Questo impegno implica il perseguimento di obiettivi molto concreti come la cura e la manutenzione di centinaia di chilometri di sentieri o la salvaguardia dell’ecologia montana e dell’economia contadina.

Righetto non si limita alla critica e a un impegno organizzativo. Ci propone un progetto culturale. Un’idea di un nuovo umanesimo che fondi su nuove basi la nostra relazione con l’ambiente, sia per affrontare il problema ecologico e prevenire l’apocalisse climatica sia per ritrovare una simbiosi, un rapporto simpatetico, con la montagna, con il bosco, con la natura. Ci offre un ampio spettro di letture che vanno da Telesio a Ibsen, da San Francesco a Langer, da Buddha a Mario Rigoni Stern.
Non sono soltanto libri da leggere. Si tratta di esercizi di educazione selvatica. L’autore non ci vuole proporre un’utopia, un programma politico o una battaglia ideologica.
Saliamo a piedi in montagna. Entriamo in un bosco. C’è un richiamo ancestrale da riscoprire. Facciamo silenzio dentro di noi. Guardiamo un fiore, un albero, la neve che cade. Ascoltiamo il bramito di un cervo, il torrente che scorre. Il nostro male oscuro, l’ansia, solvitur ambulando. Camminando la mente si libera.
È il benessere della Natura, delle piante, degli animali, in gioco ma soprattutto quello degli uomini, quello nostro. Non è il Paradiso, ma una proposta terrena, aperta a tutti.

IL RICHIAMO DELLA MONTAGNA