Le donne ‘mediocri’ di Ghiannis Ritsos. ‘Soliloqui poetici del mito’ con Elena Arvigo
@ Mattia Aloi (27-09-2020)
Cavea della Biblioteca Civica di Calenzano – Come la moira Lachesi, Elena Arvigo srotola un fuso di tessuto blu poi lo recide in tante parti quanti sono gli spettatori, quindi avvolta da drappi prende posizione dietro il leggìo e si prepara “a confidarsi, che è il tratto caratteristico dei deboli, cioè delle persone sensibili.”
Ci confida le poesie di Ghiannis Ritsos (Monemvasia, 01/05/1909 – Atene 11/11/1990), premio Lenin per la pace ’75-’76, autore estremamente prolifico e amico dell’editore Nicola Crocetti che ne favorirà la diffusione nel nostro paese.
Dell’immane produzione dell’ellenico, Elena Arvigo, con la complicità di Calliope, musa della poesia, fa risuonare nel suo spettacolo “Soliloqui poetici del mito” la voce di due donne rimaste nell’ombra.
La prima a comparire è un’Elena di Ilio invecchiata, sopravvissuta alla guerra combattuta per lei e ora preda del destino incombente, la quale decide di rinunciare ai “cavalli di Troia” usati dalle donne per nascondere i segni del tempo e inizia a preferire la compagnia dei fantasmi partoriti dai suoi ricordi anziché quella dei vivi. Elena è la personificazione di Eros che affronta Thanatos: nel campo di battaglia, camminando sulle mura della città di Troia tenendo le tre rose, lo sfida e la ricompensa che ottiene sono gli spiriti dei morti che, mentre l’età la accompagna fra le braccia di Thanatos, la riempiono ancora con lo spirito di Eros.
Il secondo poema è dedicato a Ismene, donna marchiata dai poeti Achei con lo stigma della mediocrità per poterla usare come comparativo rispetto alla titanica sorella Antigone, l’eroina fanciulla che pur di dare degna sepoltura al fratello è contravvenuta alla legge ed ha pagato con la morte. Ritsos mostra una Ismene che nella sua semplicità è riuscita ad avere il coraggio di vivere, di prendersi le gioie che la vita poteva offrirle e di seguire la propria felicità personale anzichè obbedire ciecamente a dogmi mortali. Rivediamo in Ismene quella volontà di vivere esaltata da Nietzsche che si riassume nel suo motto Ego Fatum: io sono il fato.
La terza poesia è “Il guardiano del faro”, per la quale Ritsos stesso ha convocato l’amico Nicola Crocetti al suo capezzale richiedendone la traduzione, un vero inno dedicato alla poesia stessa dal poeta greco.
Sul finire Elena Arvigo fa dono dei segmenti di tessuto che sul principiare dello spettacolo aveva reciso a misura, incidendo un messaggio nella mente dei partecipanti: il teatro è in presenza, in quanto entità viva se ne può fare esperienza solo attraverso i propri sensi; la rappresentazione via etere è solo il fantasma bidimensionale di qualcosa che ha le infinite sfaccettature dell’universo.
Il brandello di stoffa unisce lo spettatore all’artista, connettendoli assieme nel duale rapporto indissolubile che è alla base del teatro.