“Il traditore” ha tradito l’anima di Bellocchio?

“Il traditore” ha tradito l’anima di Bellocchio?

di Anna Di Mauro 29-07-2019

Serpeggia l’inquietudine e il disorientamento, se non il disappunto, tra gli addetti ai lavori e tra gli estimatori del Maestro. “Il traditore” è un film che sembra uscire dalla scia consueta di una denuncia chiara, provocatoria, dai contorni netti a cui Bellocchio ci aveva abituato. Obiettivamente difficile per non dire arduo accettare un tema così greve, così scostante, così lontano dal mondo interiore di un regista che ha sempre voluto denunciare il lato oscuro delle relazioni sociali, dalle istituzioni alla famiglia, alla religione, allo Stato, ma sempre nella sua orbita e nella sua sfera. “…ma Cosa nostra è comunque un’istituzione, uno Stato nello Stato, un marchio paradossale che sicuramente lo ha incuriosito intellettualmente” direbbero gli estimatori di un film che certamente non può passare inosservato. Bellocchio voleva misurarsi hegelianamente con l’Altro da sé? Il taglio dell’indagine in contrappunto in effetti traspare da ogni inquadratura, da ogni sequenza. E’ una storia vera impastata a tratti con la materia dei sogni e il loro linguaggio metaforico, dove l’ambiguità ne costituisce l’essenza.

Inesorabilmente già nel titolo esplicito, brutale, ironico, il film evoca la visione dantesca del tradimento considerato il peccato più grave attualizzandolo e riducendone lo spessore epico. Il sommo poeta ha consegnato all’eternità l’immagine di Lucifero, traditore di Dio, nel fondo dell’Inferno, immerso nel terrificante ghiaccio del lago Cocito, mentre con le sue tre bocche orribilmente mastica Bruto, Cassio e Giuda, i traditori per eccellenza della storia. “Il traditore” di Marco Bellocchio non prescinde da questa visione, ribaltandola. E’ un film dove la gelida parola risuona dal primo fotogramma all’ultimo, insieme a uno strisciante sarcasmo culminante in Andreotti in brache. In realtà il titolo è uno e trino e potrebbe ulteriormente moltiplicarsi. Traditore per la mafia è Tommaso Buscetta. Per il “boss dei due mondi” a tradire è invece Pippo Calò e la mafia degenerata. Per l’Italia e gli italiani il vero traditore è il ministro Andreotti che rappresenta il sistema politico italiano, corrotto e colluso, lo Stato che dovrebbe tutelare e difendere. Il paradosso è la chiave di lettura scelta da Bellocchio che contempla le grandi ferite dell’Italia negli anni ’90, culminante in un memorabile maxi processo a Palermo, gigantesco teatro-pantomima nell’attenta ricostruzione del film, frutto della collaborazione di Buscetta, primo delatore dei crimini mafiosi, con il giudice Falcone. Il tradimento di Buscetta, paradossalmente appunto, portò un bene, asserragliando in gabbia le cosche mafiose intoccabili fino a quel momento e dando un colpo definitivo al vecchio sistema di “Cosa nostra”. Falcone, consegnato alla vendetta mafiosa dalle incredibili rivelazioni di Buscetta e dalla conseguente escalation della giustizia, perirà nel tragico attentato di Capaci nel 1992, il 23 Maggio (data scelta e contestata per il debutto del film), Buscetta, sfuggendo a una morte violenta, finirà i suoi giorni nel suo letto in California nel 2000, come aveva sempre desiderato, pur conoscendo entrambi i rischi del ruolo. Ironia della sorte.

La vita pubblica e privata di Tommaso Buscetta e il maxi processo, ricostruiti con dovizia di particolari, editi e inediti, sono i due binari su cui si innesta il tunnel del film, che non concede aperture e cammina su due direzioni precise: L’anima intimista e l’anima dell’impegno civile, intrecciate proditoriamente in una sintesi di sapore manzoniano, dove però il “pentito” non è il gigantesco Innominato, bensì, il banale mafioso criminale Tommaso Buscetta, pentito-traditore non per crisi di coscienza, ma, tradito dagli “amici” e ferocemente colpito negli affetti familiari, per sete di vendetta. Il film si apre con un omaggio a “Il Gattopardo” di Visconti. Nella prima scena del ballo le famiglie di “Cosa nostra” si sono riunite per pacificare i conflitti recenti del nuovo mercato della droga, mescolando il profano alla devozione di Santa Rosalia. Cambiamenti epocali si abbattono su una Sicilia malavitosa che si contorce su se stessa. Al centro del mirino di Bellocchio, indagatore curioso e disincantato, si apre l’obiettivo su Cosa nostra e sulle sue stravaganti “regole”, su un sistema di valori sconcertanti, dove tutto deve crudelmente cambiare per rimanere uguale. Il viso contratto di Tommaso Buscetta, con un Favino che si è speso con dovizia e generosità, ma che spesso appare un po’ troppo lacrimevole (le famose lacrime di coccodrillo?), implacabile assassino nell’ultima scena per ricordarci chi era nell’essenza, traditore, amorevole marito e padre di famiglia, collaboratore di giustizia, ci accompagnerà fino all’ultima sequenza, sul filo di una tensione corrosiva e costante. Con lui si affaccia sullo schermo la faccia della mafia medievale, destinata a tramontare per aprire nuovi, inquietanti scenari sul cupo profilo del fenomeno mafioso. La vita di Tommaso Buscetta, del maxi processo alla mafia, dell’attentato a Falcone, entrate nella leggenda nera del nostro tessuto storico contemporaneo sono materia scottante, difficile da raccontare senza rischiare di ripetersi, di essere smentititi, senza suscitare echi nell’animo esacerbato dei siciliani in primis e degli italiani, ancora lacerato da ferite a carne viva.

Una sfida e una prova che il Maestro ha affrontato con dignità, lasciandosi andare a un corollario di anticliché sorretti da mano sicura. Lo sguardo di Bellocchio, ricercatore onesto e attento, punta un obiettivo pittorico e svelatore di intimità imbarazzanti, scomode, sconcertanti, a volte ridicole, caricandosi consapevolmente del ritratto reale e immaginario di quel “pentito”, di quell’Italia maleodorante, di quegli italiani privi di coscienza civile, accentuando con alcune sequenze inedite, come i colloqui segreti tra Falcone e Buscetta, il disagio di vedere accostati chi persegue la giustizia a chi traligna cercando una propria giustizia, portando tutto il peso di un tragico “modus vivendi” dove la morte è sempre in agguato. L’escamotage porge così una piattaforma di salvataggio dove passione civile e umana cercano il riscatto di una scelta e di un punto di vista che sarebbe stato interessante, ma che non risulta chiaro. Nel film, a fronte di una magistratura vincente in action, in realtà non ci sono né vincitori né vinti, ma soltanto uomini, scoperti nelle loro debolezze, fragilità, più o meno giusti, più o meno infelici, più o meno in cerca di qualcosa che dia significato o lustro alla propria esistenza. Un tema saccheggiato, la mafia, poteva essere in itinere occasione di conoscenza delle ragioni di un sistema distorto di valori che genera mostri, ma rimane fondamentalmente un banco di prova per un esperito regista che non si sottrae al gesto inquietante di mettere le mani in un nido di vipere, invitato a frugarvi dentro (così ha dichiarato Bellocchio a chi gli chiedeva le ragioni di questa scelta) in un gesto affascinante e orrorifico.

Difficile venirne fuori intatti. Ignorato (a torto o a ragione) dalla giuria di Cannes, unico film italiano in concorso, applaudito per dodici minuti dal pubblico in sala, “Il traditore” al di là delle critiche e delle perplessità mostra in Bellocchio il maestro di un’arte che ha fatto il pieno dei Nastri d’Argento, ha ricevuto riconoscimenti dalla stampa estera e veleggia sulle classifiche dei film più visti e graditi del momento, incontrando il gusto popolare e colto. La forza della sua macchina da presa imbraccia come un fucile una storia inevitabilmente coinvolgente, ricca di immagini catturanti, di un ritmo incalzante tra sfaccettature e colpi di scena, di una tensione costante e soprattutto di uno sguardo umano. Infine la sagacia interpretativa di Favino, dell’inarrestabile Lo Cascio, del gelido Ferracane, dell’intensa e bella Maria Fernanda Candido, la suggestione delle immagini, le musiche di Piovani, la ritmica del montaggio, l’alternanza tra bellezza e orrore, vita e morte, dolore e gioia, amore e odio, paura e coraggio, ci trasportano in una costante suspence dove il malessere, la tempesta emotiva, il disagio e la sete insaziata di giustizia in una vita che non è giusta, non svaniscono con la parola FINE.

IL TRADITORE

Film (Italia)

Uscita 23 Maggio 2019

Regia Marco Bellocchio

Con Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Candido, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Ferracane, Fausto Russo Alesi, Pier Giorgio Bellocchio, Nicola Calì

Produzione Italia, Francia, Germania, Brasile

Montaggio Francesca Calvelli

Musiche Nicola Piovani