L’inferno in una stanza. Le morti di Stato nella drammaturgia di Mario Gelardi
@ Anna Di Mauro (20-02-2020)
Catania – Unico elemento scenico di “Quattro uomini chiusi in una stanza” una grande tela bianca sospesa trasversalmente che si adagia sul palco nella parte centrale. E’ lo spazio di una stanza, ma sembra evocare culle e sudari. “Dalla culla alla tomba il passo è breve”, sembra dire il drappo. Lo è stato per un ragazzo, morto per “eccesso di difesa”, ossia picchiato fino a morire da quattro poliziotti, le forze dell’ordine, che dovrebbero tutelare il cittadino. Invece si trasformano in belve sanguinarie e inconsapevoli. E’ sull’esplorazione delle ragioni profonde, ancestrali di questa mostruosa metamorfosi che punta i riflettori l’autore della pièce, Mario Gelardi, già coautore e regista con Roberto Saviano della versione teatrale del romanzo “Gomorra” (2007). La sua carriera, permeata dalla passione civile, è segnata da numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Fava nel 2017. In scena nello spazio/stanza che è metaforicamente la loro prigione, quattro uomini. Indossano il giubbotto antiproiettili dei poliziotti. Questa volta sono loro gli accusati. Uno di loro piange accasciato. Dalle parole concitate che si scambiano si capisce che hanno ucciso un ragazzo inerme massacrandolo di botte. Sembrava ubriaco o tossico…ci ha aggredito…si giustificano tra loro per giustificare la furia omicida e per approntare una difesa possibile. Sono al centro di un vortice che li risucchia. L’opinione pubblica è contro di loro, i genitori del ragazzo sospettano e chiedono giustizia. Sono stati sospesi dal servizio. Devono stare uniti, adottare la stessa linea negli interrogatori, far fronte comune, inesorabilmente. Parlano concitatamente, si disperano, si dibattono tra il senso di colpa e l’istinto di sopravvivenza. La paura di essere scoperti li attanaglia, ma non devono perdere la calma. Mentono sapendo di mentire, a se stessi, ai compagni, alle famiglie, allo Stato. Nell’angosciante attesa del processo studiano una difesa possibile e compatta. L’eventuale assoluzione non li salva dal lacerante conflitto. Entriamo nel loro inferno interiore, scatenato dalla violenza che ha finito per distruggere cinque vite. Tutto è compiuto. Che cosa scatta nei difensori dell’ordine in quei momenti? Perché? Questa domanda, sospesa come la tela, attraversa la pièce senza esiti possibili. Sta lì a stupirci, a colpire il nostro baricentro, con asciutta determinazione, frugando nella fragile condizione umana con echi universali. Con ritmo serrato e una tensione a tratti insostenibile la regia consegna quattro vite “sbagliate” allo spettatore, indagandone la complessità, senza scivolare nei pietismi o nel giudizio etico. La pregevole e coinvolgente performance intrisa di dolorosa naturalezza di Ivan Castiglione, Riccardo Ciccarelli, Carlo Gertrude, Gennaro Maresca, su un’abile sceneggiatura dal perfetto incastro, sensibile a un tema importante già esplorato nel tristemente famoso caso Cucchi, fanno di questo spettacolo un esempio significativo di teatro civile. L’onestà intellettuale di Gelardi si configura come sostanza di una ricerca sul Male che non cessa di emozionare il nostro pensiero.
QUATTRO UOMINI CHIUSI IN UNA STANZA
Scritto e diretto da Mario Gelardi
Con Ivan Castiglione, Riccardo Ciccarelli, Carlo Gertrude, Gennaro Maresca
Costumi Alessandra Gaudioso
Disegno Luci Alessandro Messina
Assistente alla regia Roberta De Pasquale
Aiuto regia Alessandro Palladino
Foto di scena Vincenzo Antonucci
Produzione Nuovo Teatro Sanità
Al Piccolo Teatro della Città di Catania