Un cavallo, che amico! “Charley Thompson” di Andrew Haigh
“A me non piacciono neanche le macchine vecchie. Non mi interessano. Preferirei un dannato cavallo. Un cavallo per lo meno è umano…”: così quel bel tomo del “giovane Holden” sbotta in uno dei suoi sfoghi sbrigliati. Dello stesso parere si mostra il quindicenne protagonista di una “storia semplice” tratta dal romanzo dello scrittore-folksinger Willy Vlautin La ballata di Charley Thompson dislocato tra le desolate zone del nord-ovest americano e in ispecie nella regione di Portland, nell’Oregon. Realizzato dal cineasta inglese Andrew Haigh, il film si dispone subito sullo schermo con un approccio piano, controllatissimo, mettendo in campo una scansione degli eventi minimi come delle più intense emozioni legati a personaggi, vicende, situazioni ora drammatiche, ora semplicemente toccanti.
Dunque, l’adolescente Charley vive col padre, un operaio disadattato e sfortunato, vagando da un posto all’altro in cerca di lavori precari. Incappati in un individuo violento, il padre Ray e il giovane Charley sono costretti a subire a più riprese i colpi di una sorte avversa. Fintanto che, aggregatosi con un balordo alcolizzato, l’adolescente trova quiete e soddisfazione dedicandosi con passione ad un cavallo destinato, nei piani del proprietario, a finire al macello. A tale prospettiva si ribella Charley che, con decisione resoluta, rapisce Pet (questo il nome del cavallo) e si lancia in un andirivieni dilatato tra avare avventure e sporadici incontri. Come quello tutto imprevedibile con la giovane fantina Bonnie, o con altre figure presto segnate, oltre che da un afflato sentimentale di fondo, da esperienze positive come da mortificanti imprevisti.
Andrew Haigh (già accreditato di due film riusciti: Weekend e 45 anni) ha operato sul testo letterario menzionato con autonoma libertà narrativa (Charley in origine era appassionato cultore di calcio e, nel film, la cosa è appena accennata) e, per di più, imprime all’insieme del racconto quel piglio “alla Steinbeck” colmo di calore e di intensità espressivi. Infatti, confessa Haigh (in sintonia con lo scrittore Vlautin): “Il libro è stato la nostra traccia, il canovaccio per la mia sceneggiatura, molte cose sono nate per caso… un cavallo non è prevedibile come un essere umano… siamo andati in giro per feste di paese, corse di cavalli, tavole calde. Ci siamo accampati un po’ ovunque nel nord-ovest americano”.
Ma quel che è meglio, un contributo determinante l’ha dato nell’inserire nella storia un po’ western un po’ on the road dipanata con malinconica misura (contraddetta di quando in quando da irruzioni brutalmente volgari) la sensibile, magistrale prova interpretativa del giovane Charlie Plummer (Charley), a suo tempo Premio Mastroianni a Venezia, che ben consapevole del suo ruolo ha così ricordato: “Ero terrorizzato da quella bestia enorme… con il tempo abbiamo fatto conoscenza come due esseri umani”. Un cavallo, che amico!