“Il giovane Karl Marx” di Raoul Peck. Da Hegel al Manifesto

“Il giovane Karl Marx” di Raoul Peck. Da Hegel al Manifesto

 

Porre mano a un film che racconti la prima maturità di Karl Marx (1818-1883) necessita certo di una solida fiducia nelle proprie risorse espressive e, ancor più, di un piglio determinato per secernere dalla profluvie di fatti, vicende, personaggi legati all’ideologo maggiore dell’800-900 (oltre ben dentro il nuovo millennio), una storia che, perlomeno nei decenni tra i Trenta e i Quaranta disegna un quadro a metà privato, a metà pubblico di una esperienza culturale-politica del tutto eccezionale. Raoul Peck, cineasta tedesco (già accreditato del pregevole documentario I’ Not Your Negro) si è preso questo compito e, con l’aiuto consistente dello sceneggiatore Pascal Bonitzer, ha realizzato appunto il film-biografia Il giovane Karl Marx, coproduzione franco-tedesca orchestrata, per giunta, sulle musiche di Bob Dylan Like a Rolling Stone.

Va prioritariamente detto che Il giovane Karl Marx non coglie per intero tutte le questioni, gli eventi, le traversie e soprattutto le sostanziali conquiste del pensiero e dei fondamentali testi redatti da Karl Marx (Il Manifesto dei comunisti, Il capitale) tra il 1848 e il 1867 con l’assidua collaborazione di Friedrick Engels. E, anzi, non di rado evoca scorci privatissimi – la vita in famiglia con la moglie Jenny von Westphalen – e periodi travagliati da contingenti problemi legati alle pratiche “militanti” di una consuetudine rivoluzionaria ininterrotta tra la Parigi in rivolta del 1848 e i successivi espatri in Belgio, in Inghilterra.

Qui, in questo racconto scandito con classico rigore narrativo, prendono presto risalto tanto le questioni centrali del pensiero marxiano, quanto le escursioni più schiettamente personali del “giovane Marx”, certo intento ad affinare incisivamente la disanima frontale con i filosofi-ideologhi della sua epoca – da Proudohn a Feuerbach, da Bauer a Bakunin – in una ricerca alacre, straordinaria di una “verità”, di volta in volta individuata nel “materialismo storico”, nella teoria del “plusvalore”, nella totale e totalizzante “alienazione” dominante il destino degli individui. Significativa al proposito la dichiarazione dello stesso Marx: “Oggi l’uomo che non ha niente, non è niente”.

Questi aspetti e tanti altri elementi di raccordo infittiscono e sostanziano la storia convenzionale di Karl Marx, specie prospettando la naturale semplicità di personaggi e vicende soffusi in un clima di acquietata normalità ma anche di una decontratta visione del mondo. È evidente, del resto, che le personali vicissitudini del giovane Marx come le capitali innovazioni del suo pensiero ideologico e politico si traducono in una imagerie lucidamente evocativa e poco oltre.

Persino quando l’ordito narrativo allude ad una illuminazione quale quella legata all’intuito del peso centrale dell’“alienazione” letta come “distanza inconciliabile in senso economico, materiale, filosofico, morale fra l’uomo e le cose… L’uomo è circondato da feticci… non capisce né controlla le proprie emozioni e, di conseguenza, la propria vita”. Non è senza significato d’altronde che cineasti di massimo prestigio come Eisenstein e Rossellini abbiano a suo tempo tentato, invano, di raccontare Karl Marx. Raoul Peck, in qualche misura, ce l’ha fatta, con grande dignità.