Un irriducibile vincitore. “L’ora più buia” di Joe Wright
Joe Wright è un cineasta inglese quarantacinquenne particolarmente versato nella trascrizione di opere letterarie famose (Orgoglio e pregiudizio da Jane Austin, Anna Karenina da Tolstoj) che propone di volta in volta con un linguaggio vigoroso, essenziale. Più di recente ha posto mano anche al film piuttosto pretenzioso Pan. Viaggio sull’isola che non c’è, ma gli è andata male: i riscontri critici nel caso particolare sono stati mortificanti e anche gli incassi sono risultati deludenti. La qual cosa ha procurato a Wright neri pensieri sul proprio futuro professionale.
Oggi, superato di slancio ogni momento depressivo, lo stesso cineasta si ripresenta con una prova d’appello decisamente confortante. Ovvero una storia di impianto quasi documentario incentrata sulla figura e opera di Winston Churchill il premier che, nel 1940, si trovò a dirimere la grave questione se l’Inghilterra dovesse entrare in guerra o negoziare la pace con l’arrembante ascesa del dittatore nazista Adolf Hitler. Anzi è proprio sullo scorcio definito dei giorni in cui la guerra si scatenò con bombardamenti selvaggi su Londra da parte della Lutwaffe che Joe Wright mette in primo piano in una vicenda ruotante attorno alla presenza costante di Churchill, dovunque e comunque campeggiante con i suoi gesti e atteggiamenti quasi rituali: il sigaro ostentato, le dita a V in segno di vittoria, le brusche reazioni di fronte a evenienze sgradite.
Prende così corpo nella puntigliosa caratterizzazione del bravo attore Gary Oldman un’illustrazione precisa dell’evento bellico e politico ricordato ancora oggi come il fatto saliente di un periodo storico discriminante tra le ragioni della guerra e i disastri di una invasione tedesca del Regno Unito. In tale dilemma spaventoso, proprio la tenace determinazione di Churchill si dimostrò la scelta giusta. Tanto da consentire allo stesso Churchill di affermare più tardi con scoperta fierezza: “Nessuno può garantire il successo in guerra, può solo meritarlo”.
Il particolare momento in cui Churchill venne chiamato a sostituire l’irresoluto Chamberlain è quello concomitante con l’invasione tedesca prima della Norvegia, quindi del Belgio e ancora delle successive occupazioni di mezza Europa. Immediata risulta la decisione della chiamata alle armi dell’intiero Paese. Tutto ciò nonostante la palese inferiorità di mezzi, di uomini, di risorse per far fronte alla barbarie scatenata.
L’ora più buia non fa eccezione al piglio narrativo tipico del cinema di Wright. Dagli attori rigorosamente aderenti ai modelli classici del racconto biografico: il citato Oldman (nel ruolo principale), Kristin Scott Thomas (la moglie di Churchill, Clementine), Elizabeth Layton (la segretaria Lily James) sono tutti allineati, calibratamente impeccabili in una prova dal rigore e nitore estremi. È un cinema, quello di Wright, in particolare questo film L’ora più buia, dai pregi sommessi e dalle ambizioni misurate, ma è altresì un cinema che proporziona sullo schermo uno spettacolo sempre teso ad appagare sia lo spettatore esigente sia il critico elegantemente disponibile. È un cinema, in definitiva, tradizionale, ove per tale termine si intende un film ben fatto, recitato meglio, appassionante senza strafare. Churchill, dunque? Un vincitore irriducibile anche in questa occasione.