Il mestiere del critico
“The Big Sick”, un film di Michael Showalter
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Esistono ancora le commedie brillanti? Parrebbe di no, visti i grevi canovacci cui ricorrono attualmente molti esordienti determinati ad estorcere, a costo anche di caduta di gusto (e di intelligenza), consensi e successo fin troppo corrivi. Detto ciò un’eccezione a simile andazzo si può riscontrare con piacere in un film di composita matrice etnica, ma americano nella struttura e negli intenti narrativi, come The Big Sick, realizzato da Michael Showalter (per conto del produttore di commedie Judd Apatow) sulla base della sceneggiatura di Emily Gordon e dell’attore pakistano Kumail Nanjiani (per l’occasione interprete di sé stesso).
L’innesco iniziale di simile commedia – già salutato al Sundance Film Festival da vistosi riconoscimenti – è giostrato per intero su un gioco agro-ilare di questioni contingenti, di effetti collaterali. È l’incontro controverso di amorosi sensi tra un comico pakistano (appunto Kumail) e una americanissima studentessa Emily, passo passo legati da un progressivo e problematico sentimento affettivo.
Il problema, subito evidente in questa situazione per sé stessa del tutto convenzionale, risulta dalla contrastanti posizioni che si prospettano da parte dei rispettivi genitori dei due innamorati. Kumail è intensamente convinto del proprio trasporto d’amore per Emily e anche allorché questa è confinata in coma medico per una grave malattia non sa e non vuole rinunciare al proprio sentimento. Intorno a questo intrico ora drammatico, ora blandamente ironico si muovono intanto vicende, personaggi d’una realtà variegata che coinvolge, ingloba disinvoltamente fatti, scorci sociali, comportamentali di bruciante attualità (l’11 settembre, ad esempio).
Dominante, seppure adombrata con misurata discrezione, affiora peraltro nella contesa tra culto della tradizione pakistana e convinzioni, convenzioni radicate della cultura anglosassone, la tendenza ben riconoscibile di un razzismo sostanziale che, pur temperato da tic e battute argutamente caustici, condiziona ogni gesto, qualsiasi sortita. C’è, in questo scorcio evocativo dell’idillio contrastato tra Kumail ed Emily, il riecheggiamento del menzionato influsso del produttore Judd Apatow consacrato maestro della commedia all’americana, tutta colma di sapienti trovate, ma altresì calibrata a dovere tra sapiente drammaturgia e godibile leggerezza.
Un dato notevole a favore di The Big Sick è dato dalla regia disinibita dell’esperto Showalter gratificato negli Stati Uniti da una lusinghiera notorietà. E, per giunta, questa saga degli “amori complicati” (ma non proprio melanconici) trova nei ruoli maggiori interpreti del tutto “in parte”: a cominciare come si diceva da Kumail Nanjiani a Zoe Kazan (nipote del già celebre zio Elia) e ancora dai comprimari Ray Romano e Holly Hunter. A conti fatti The Big Sick può essere considerato un’azzeccata perorazione contro il razzismo occulto o palese quale persistente scheletro nell’armadio dell’America d’oggi.