Sauro BORELLI – Un thriller a metà (“Una doppia verità”, un film di Courtney Hunt)

 

Il film della settimana

 


UN THRILLER A META’


“Una doppia verità” di Courtney Hunt


°°°°


Courtney Hunt è una cineasta americana poco prolifica, ma in compenso ogni film che fa si basa su una storia a sé stante. Dall’ “opera prima” Fiume di ghiaccio (2008), favola ispirata al racconto di Hans Christian Andersen La regina delle nevi a questo suo nuovo film, Una doppia verità, un thriller psicologico arieggiante a tanti classici del passato (da Testimone d’accusa di Billy Wilder a La parola ai giurati di Stanley Lumet, e ad Anatomia di un omicidio di Otto Preminger), punta inizialmente su vicende, personaggi ben definiti per inoltrarsi progressivamente in climi, atmosfere tanto enigmatici quanto torbidamente reticenti. Ne esce così un dramma a metà realistico, a metà immaginario che, se pur convince spesso in parte, desta tuttavia un qualche interesse spettacolare.

Questa caratteristica risulta specialmente marcata in Una doppia verità, poiché l’approccio narrativo si dispiega subito secondo la traccia di un “giallo-nero” incentrato su un parricidio mandato a effetto – sembrerebbe – dal giovane Mike, che la madre, determinata a salvarlo dalla condanna, affida alla maestria dell’avvocato difensore Richard Ramsey. La cosa parrebbe naturale, ma la chiusura patologica del giovane ad ogni sforzo di chiarire il delitto e, ancor più, il suo ostinato mutismo inducono presto la tragica storia in un impasse senza vie d’uscita, se non l’esito più scontato e inesorabile. Il tutto calato in un rendiconto serrato (ma anche claustrofobico) di un tipico procedimento processuale.

Keanu Reeves qui ancora nelle vesti di un legale come nell’Avvocato del diavolo (accanto ad un luciferino Al Pacino) dà prova di un perfetto adattamento al ruolo di difensore, mentre la brava Renée Zellweger (la madre del ragazzo incriminato), il giovane Gabriel Basso (Mike), Jim Belushi, vittima designata, assecondano con misura e verità il procedere contorto della tetra situazione.

Una doppia verità, però, a dirla in termini semplici, non tocca alcun punto autentico di un dramma verosimile, ma impastoiato in digressioni e indugi poco chiari marcia un po’ monotonamente verso un approdo prevedibilmente incongruo, poco allettante. A qualcuno è venuto in mente che l’esperta Courtney Hunt si sia lasciata condizionare dalla lunga routine televisiva che, dopo il brillante esordio del Fiume di ghiaccio, l’ha in qualche misura forzata a prove non proprio appassionanti e, anzi, ad una pratica creativa decisamente convenzionale.

Ovvio che se (anche alla larga) ci si rifà a cineasti del calibro di Wilder, Lumet, Preminger non si può certo adagiarsi poi nella semplice normalità. Occorre perlomeno uno scatto d’ingegno per disvelare ogni “doppia verità”, cosa che è mancata appunto alla pur corretta Courtney Hunt.