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Sauro BORELLI- In cerca dell’El Dorado (“Civiltà perduta”, un film di James Gray)


Il film della settimana



IN CERCA DELL’ EL DORADO

The Lost City of Z.jpg

“Civiltà perduta” di James Gray

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Poco meno che cinquantenne, James Gray, dopo alcuni film variamente divaganti (Little Odessa, The yard, Il padrone della notte, Two Lovers) tra storie sentimentali e vicende dostoieskiane, si è buttato risolutamente nell’esotico dislocando il suo nuovo lavoro, Civiltà perduta, in un angolo sprofondato tra le impervie contrade tra Brasile e Bolivia. Per di più il cineasta newyorkese si è ispirato per il suo racconto sulla storia autentica risalente ai primi anni del Novecento.

In quell’epoca, ancora curiosa di ciò che non si era scoperto, la Società Geografica Reale diede incarico all’ufficiale di carriera inglese Percival Fawett di reperire gli esatti confini di sterminate regioni sudamericane. L’ufficiale, benché in procinto di mettere al mondo con la moglie Nina il suo secondo figlio, accetta l’incarico. E oltre questo avventuroso passo recluta un aiutante di campo, Henri Costin. Così, la sortita compagnia dei familiari e degli ausiliari si inoltra nel corso del Rio Verde alla volta del favoleggiato luogo, l’antico El Dorado (altrimenti detto “la città di Z”) nascosto nelle profondità più esotiche dell’Amazzonia.

Fin da subito peraltro le cose si complicano. Fawett colpito da un morbo inguaribile si aggrappa all’assurda idea di trovare costi quel che costi l’enigmatico luogo. Ed è da qui che James Gray, memore di tanti avventurosi kolossal – da Herzog (Fitzcarraldo) a David Lean (Lawrence d’Arabia) – si immerge in una serie di esperienze ai limiti dell’impossibile. Ma il cineasta inglese, al pari del suo eroe senza macchia e con qualche paura, procede deciso verso le novità più ardue dando una dimensione epica alla sua storia d’altri tempi, rievocata per la circostanza con disinvolta scioltezza.

Definire Civiltà perduta un film riuscito a metà è forse indebito, ma l’intento di James Gray indugia troppo in soluzioni drammatiche ostentate, mentre i personaggi maggiori di questa azzardata favola sminuiscono visibilmente coi loro atteggiamenti artificiosi la verosimiglianza dell’intiero racconto.

È vero, gli interpreti fanno del loro meglio per reggere il gioco fantasioso dei colpi e dei contraccolpi vistosi ma si intuisce, la gestazione laboriosa di questo film di impianto complicato (l’originario interprete dell’eroe emergente doveva essere Brad Pitt, poi divenuto il produttore) ha determinato inevitabilmente un calo di tensione narrativa e ancor più un dirottamento dell’intera storia verso esiti certo meno efficaci, incisivi. Vale comunque una considerazione da fare per Civiltà perduta: resta un tentativo pregevole di un cineasta di buona mano.