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Sauro BORELLI- Un’eroina per la pace (“Wonder woman”, un film di Patty Jenkins)

 

Il film della settimana

 


UN’EROINA PER LA PACE

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“Wonder Woman”, un film di Patty Jenkins

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Succede raramente che tra personaggi mitizzati come eroi – specie nella serie di comics americani – emergano tipologie, fisionomie “normali”, aliene dal possedere strabilianti superpoteri (esemplare in tal senso il classico Superman) e incondizionatamente votate al bene del prossimo, quasi fossero addirittura dei martiri paleocristiani. E ancor più raro – nel campo originario dei comics tutti americani e in modo più ravvicinato nelle serie televisive e cinematografiche – risulta che una figura esemplare di tale aspetto possa essere effigiata nelle sembianze, nelle movenze, negli atteggiamenti tipicamente femminili.

Per ovviare, dunque, a simile carenza di quei personaggi d’eccezione e, soprattutto, all’assenza di eroine donne in un film interamente giostrato sulla loro determinante presenza, occorreva una cineasta già esperta (per larghe esperienze in ogni settore creativo) come Patty Jenkins agguerrita innovatrice col suo nuovo multimilionario Wonder Woman. Si tratta di un rispecchiamento aggiornato dell’eroina dei comics creata nel 1941 dallo psicologo William Moulton Marston e presto divenuta (in tv) un caracter tra i più seguiti grazie all’interprete (dal 1975 al 1979) dell’attrice Lynda Carter.

L’impianto narrativo ideato dalla Jenkins per Wonder Woman si prospetta subito per chiari segni una sorta di attuale favola morale ove la principessa-amazzone Diana Prince (di volta in volta effigiata ora in panni moderni ora in camuffamenti fantastici) compare e ricompare nei luoghi, nei momenti più cruenti di guerre, carneficine le più dissennate, giusto per far fronte alla disumanità dei conflitti, delle battaglie ripristinando la pace nel mondo. Non a caso Wonder Woman prende a modello storico-ambientale proprio i luoghi, i momenti esasperati della prima guerra mondiale, per l’occasione “ricreata” come copia conforme della misteriosa isola di Themyscira nella nostrana isola di Palinuro.

L’eco di questa impresa realizzata da Patty Jenkins con il dichiarato intento di risarcire, almeno in parte, l’apartheid usato dalla vecchia Hollywood nei confronti del cinema delle autrici, trova poi riscontro concreto tanto nell’impostazione narrativa caratterizzata dalla personalità risoluta della principessa Diana (interpretata dall’attrice israeliana Gal Godot), quanto nell’idea che lo stesso personaggio possa celare sotto un semplice abito l’autentica corona telepatica, la cintura di Gea o il lazo d’oro inventato da Efesto: una commistione di realtà e immaginazione che non banalizza certo l’eroina ma la rende anche più sorprendente.

A margine della sortita anche da noi di Wonder Woman risalta il fatto di rispolverare l’ancora attuale polemica sull’emarginazione del cinema al femminile, significativamente rinfocolata a più riprese dalla magistrale Jane Campion (e persino da Nicole Kidman) con brucianti accuse: “È folle che io sia l’unica regista donna ad aver vinto a Cannes in settant’anni”. In definitiva Wonder Woman, anche aldilà del suo valore oggettivo, può costituire un forte slancio per raddrizzare questo lamentevole stato delle cose. Ovvero: l’eroina Diana può dare una mano a placare la guerra. Ma con giudizio, aldilà del pacifismo, innescarne un’altra, quella del cinema al femminile. O meglio il cinema delle e per le donne.