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Sauro BORELLI- Amore e rabbia (“Le donne e il desiderio”, un film di Tomasz Wasilewski)

 

Il mestiere del critico

 

 

AMORE E RABBIA

“Le donne e il desiderio”, un film di Tomasz Wasilewski

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Il cinema polacco non è mai stato un cinema facile. Da Zanussi a Kieslowski i temi, le vicende, i personaggi si incontravano, si mischiavano, si intrigavano in storie, racconti il più delle volte sostanziati di tormentose sindromi esistenziali, di amori frustrati, di rovelli morali o psichici enigmatici, mai compiutamente risolti e ancor meno chiariti. Ora, a diversi anni dalle prove del talentuoso Zanussi e a quelle del prematuramente scomparso Kieslowski, un nuovo, prestante cineasta sembra ripercorrere le tracce di tali maestri, il trentasettenne Wasilewski che, dopo alcuni film di buona mano (In camera da letto e Floating Skycrapers), si è già accreditato come autore di pregio, conquistando a Berlino 2016 l’Orso d’argento con il terzo lungometraggio Le donne e il desiderio.

Lo stesso cineasta, provvisto di una maturità espressiva notevole palesa subito un’intensità di ispirazione con questo film divagante tra bianco-nero (gli scorci a ritroso della storia polacca sotto il comunismo) e a colori (le intrecciate esperienze sentimentali di quattro donne dalle marcate personalità). E proprio sulla scia dei magistrali mediometraggi del Decalogo di Kieslowski imbastisce una incursione dettagliata sulle variabili situazioni vissute da figure femminili nell’arco di tempo del 1990, allorché nel loro Paese si prospettò un’apertura verso più o meno piena libertà politica.

L’incipit delle Donne e il desiderio si incentra subito sulle vite di Agatha (presa da ossessiva passione per il sacerdote della sua parrocchia), Iza (preside di una scuola di Solidarnosc incalza un recalcitrante amante con ostinata assiduità), Renata (professoressa d’inglese in pensione è presa d’amore per la giovane Marzena). Si tratta d’una vera “ronde” erotica dipanata tra gli strascichi di una quotidianità tetra, poco confortante, retaggio del persistente clima sociale del passato regime e il peso determinante d’una chiesa oppressiva, bigotta.

È tutto un mondo, insomma, che si avvoltola in vecchie tradizioni e un conformismo asfissiante, mentre, appunto, le quattro donne finora citate sembrano tese soltanto a vivere, conquistare una emancipazione totale per le loro passioni e per una prospettiva finalmente libera dei loro giorni. Ma, da chiari segni, sarà questa un’aspirazione puntualmente vanificata dal paralizzante impaccio di mediocri vicende personali. Cinismo, egoistici atteggiamenti di tutte le persone che si incontrano in questo angoscioso garbuglio di sentimenti e risentimenti diffusi determinano, ben presto, una impressione manifesta di squallore, di quieta disperazione.

Sintomatico il preciso intento di Wasilewski: la scena d’apertura delle Donne e il desiderio: una riunione conviviale viene interrotta da una telefonata e da una nuova presenza tra tante signore rendendo irrilevante la partecipazione degli uomini. Ora contano soltanto le esperienze delle donne in una luce sempre più dolente e negativa. Quel che conta, nel prosieguo del racconto, è la rabbia che prevarica nelle signore qualsiasi altra velleità d’amore.

La malinconia, la desolazione restano giusto quel che offre oggi la Polonia ancora piegata sotto la tutela d’una religiosità arcaica e d’un contesto politico del tutto sclerotizzato. Non è a caso che, in una recente intervista, lo scafato Wasilewski, sulla scorta di quanto già fatto esemplarmente dal suo maestro Kieslowski, abbia così, con esplicita chiarezza, spiegato quel che accade ancora nel suo Paese: “Il cattolicesimo in Polonia è stato ed è un elemento pervasivo e credo che abbia avuto un forte impatto nella vita di tutti i polacchi”. Più franco di così…