Sauro BORELLI- Una fiaba agrodolce (“L’altro volto della speranza”, un film di Aki Kaurismaki)

 

Il film della settimana


 

UNA FIABA AGRODOLCE

“L’altro volto della speranza”  di Aki Kaurismaki

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Anni fa, l’oggi sessantenne Aki Kaurismaki, il più significativo cineasta finlandese si concesse un temporaneo soggiorno in Francia ove realizzò il magistrale, smagliante Miracolo a Le Havre, già definito, a ragione, il suo “film più necessario”. Anzi, si disse allora che Kaurismaki con quella sua sorta di fiaba tutta contemporanea riuscisse a sposare “Chaplin a De Sica, Tati a Bresson, Pagnol a Dreyer”. Ora, rientrato in patria, a Helsinki, lo stesso autore si cimenta con un nuovo lungometraggio dal titolo formalmente ottimistico L’altro volto della speranza (già premiato a Berlino 2016) ove il racconto si condensa in una incursione anche più diretta che in Miracolo a Le Havre, puntando resoluto verso vicende, personaggi della contingenza quotidiana di volta in volta risucchiati nel gorgo di sentimenti, emozioni subitaneamente coinvolgenti, senza alcun infingimento di sorta.

Dunque, l’approccio iniziale compare subito drammaticamente contiguo ai nostri agitati giorni di guerra in Medio oriente e delle conseguenti tragedie innescate dalla biblica migrazione verso l’Europa di intieri popoli. Khaled, un clandestino approdato fortunosamente in Finlandia, proveniente dalla martoriata città di Aleppo, cerca con crescente affanno i propri parenti e un rifugio sicuro come perseguitato politico. In parallelo, la sorte del taciturno Wikstrom, commesso viaggiatore sfiancato dalla vita mediocre e conformista del suo Paese, della sua stessa famiglia, tenta a più riprese di rifarsi un’altra esistenza. E, per colmo di fortuna, conquista al gioco il gruzzolo per intraprendere il mestiere di gestore del ristorante La pinta dorata.

Aki Kaurismaki

Finlandese tipico, poco espansivo ed emarginato, si diffonde da quella sua scelta di rinnovamento in un incalzante cronaca di ciò che di desolante emerge tutt’intorno a lui e ai suoi simili, inquieti contemporanei: la cronica crisi economica, l’odissea strisciante dell’emigrazione in atto, ecc. Il tutto riferito, senza strepiti o rumori di fondo, di una quotidianità frustrante ove chi più chi meno cerca rimedio in uno scorcio sociale mortificato da problemi di ogni genere. È un rendiconto puntuale, con qualche lieve tocco di ironia che prende così corpo e senso sullo schermo in una visione generale né enfatica, né epidermica. La sola sensazione che affiora da L’altro volto della speranza risulta così, a conti fatti, un insinuante, turbata malinconia che per sé sola rappresenta tanta parte della situazione finlandese d’oggi. E fors’anche, di altri paesi europei colti dall’incubo di un mutamento davvero epocale.

Kaurismaki firma con questo suo nuovo L’altro volto della speranza una silloge esemplare delle infinite inquietudini della realtà moderna, in cui individui, eventi, novità si fondono, si confondono in un campionario di esperienze esistenziali ora complesse, inestricabili, ora solamente evidenti, specchiate, ma sempre temperate dalla bonomia, dalla semplicità del corso della vita. “Il regista – è stato acutamente osservato per questo particolare film – racconta così una piccola, improbabile, utopica comunità di persone buone solo apparentemente fuori dal tempo, fondate su umanità, lavoro, amicizia, solidarietà…”. Scegliendo, in definitiva, l’impervia passione per la vita, bella o brutta che sia, costantemente degna d’essere vissuta, nel bene, nel male come ogni cosa di questo pur agitato mondo. Almeno questo è ciò in cui sembrerebbe credere l’agro-ilare Kaurismaki.

 

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