Sauro BORELLI- La poesia come arma (“Neruda”, un film di Pablo Larrain)

 

Il mestiere del critico

 


LA POESIA COME ARMA

 

“Neruda”, il nuovo film di Pablo Larrain

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Pablo Neruda (1904-1973), effigiato splendidamente, nel 1994, da Philippe Noiret nel film di Radford-Troisi Il postino (tratto dal romanzo del cileno Antonio Skarmeta) risultava, fino a pochi giorni fa, l’immagine più intensa, più vera del grande poeta sudamericano apparentato a infinite vicende politiche e, altresì, ad innumerevoli componimenti lirici animati costantemente da un prodigo impegno civile. Oggi, questo nuovo lungometraggio Neruda del prestigioso cineasta cileno Pablo Larrain – già accreditato di alcuni lavori pregevoli come Tony Manero, Post mortem, No, i giorni dell’arcobaleno, Jackie – rimette in questione tanto la fisionomia e le attitudini esteriori di Neruda, quanto gli scorci avventurosi (talora eroici o semplicemente eccentrici) della sua tribolata esistenza.

L’aspetto propriamente politico, specie dell’ultimo periodo – allorché fu colto dalla morte pochi giorni dopo il criminale colpo di Stato di Augusto Pinochet – dell’esistenza di Neruda è qui sottaciuto privilegiando l’approccio adottato da Larrain (sulla scorta della disinibita sceneggiatura di Guillermo Calderon) una storia tutta privata circoscritta al periodo particolare in cui Neruda, a seguito della sua resoluta opposizione, nel 1948, al dittatore del tempo Gonzales Videla, fu costretto alla clandestinità (benché parlamentare regolarmente eletto) e di lì a poco ad un furtivo passaggio in Argentina per sottrarsi all’arresto e anche a sanzioni più gravi.

Qui, in questo Neruda, dunque prende ambiguo, variabile spessore e problematica evidenza la figura ecletticamente vitalistica del poeta intento a esperienze tutte edonistiche (compreso il suo ardore per le belle donne) pur senza disattendere la sua appassionata dedizione tanto alla poesia civile (è di quello stesso momento epocale il suo mirabile Canto generale, epica perorazione della storia dell’America Latina) quanto alle emozionanti illuminazioni liriche in gloria dell’amore e delle donne amate.

Nel colmo di questa traccia narrativa prende progressivamente peso il personaggio (tutto fittizio) del commissario di polizia di Santiago, Oscar Peluchonneau, che, determinato ossessivamente dall’idea di catturare il poeta fuggiasco, ne diviene, a forza di seguirne le tracce in ogni dove, una sorta di decalcomania con analoghe stimmate e prevedibili umori. È proprio in questo inseguimento all’infinito senza alcun esito che si stempera il racconto destinato a sublimarsi in un duplice “ritratto” ove fuggiasco e inseguitore praticano gli stessi gesti, pensieri intercambiabili in una giostra enigmatica e sostanzialmente inconcludente.

In definitiva, il Neruda che scaturisce dal film di Larrain – benissimo interpretato nei ruoli maggiori dagli attori Luis Gnecco (Neruda) e Gael Garcia Bernal (Peluchonneau) – ha lineamenti, tratti fisici reticenti che, peraltro, contribuiscono a disegnare un personaggio “alla Neruda”, ovvero la sua tipica cultura e poesia tanto da caratterizzare un mondo a parte, una vocazione esistenziale unica. O, come bene scrisse Neruda medesimo: “Ebbi un partito, una patria. / Ebbi fortuna. / Mi prese sottobraccio la gioia…/ Composi semplici versi / per tutti gli uomini / e per non morire.”

 

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