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Sauro BORELLI- Dalla stampa allo schermo (“Il fiume ha sempre ragione”, un film di Silvio Soldini)

 

 

Il mestiere del critico

 


DALLA STAMPA ALLO SCHERMO

 

“Il fiume ha sempre ragione”, un film di Silvio Soldini

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Silvio Soldini è il cineasta italiano – propriamente milanese – più originale e se si vuole anche prestigioso di cui peraltro si parla di rado. Poco meno che cinquantenne, ha esordito alla regia nell’84 col mediometraggio Giulia in ottobre, così definito fin dal suo primo apparire al Festival di Bellaria ’85: “… un delicato e intenso ritratto di donna in crisi sullo sfondo anonimo e concreto di una Milano desolata”. Un primo approccio al cinema cui Soldini si dedica con sorvegliata passione e facendo ricorso fin dall’inizio alla fotografia severa eppure smagliante di Luca Bigazzi, suo assiduo complice in tante altre successive prove registiche di valore.

Col primo, autentico lungometraggio L’aria serena dell’Ovest (1990), Soldini precisa, completa il ciclo di una ricerca – sia tematica, sia espressiva – personalissima che, da un lato, si immerge in un décor ambientale austeramente circoscritto (una Milano raggelata e spopolata) e, dall’altro, perlustra personaggi, psicologie sempre ai margini della dissoluzione. Tanto da meritare la considerazione immediata per quel modo di raccontare insieme intenso e appassionato ma reso con refrattario realismo un avallo sicuro per questo suo cinema puro e duro: “Autore colto e sensibile, affascinato da personaggi sospesi in una deriva esistenziale” dalle scansioni incisive e fertili, di lì a poco si produrrà in film di variabili toni e soggetti per se stessi altrettanti piccoli capolavori. Parliamo di Un’anima divisa in due (’93), Le acrobate (’97), Pane e tulipani (’99), Brucio nel vento (2002), ecc.

Non bastasse tanto, la milizia cinematografica di Soldini si arricchisce di quando in quando di operine documentarie ispirate e sostanziate da attualissimi spunti civili, culturali, il più delle volte incentrate su Milano e immediati dintorni come ad esempio Made in Lombardia e Quattro giorni con Vivian. Insomma siamo di fronte a un piccolo maestro ben consapevole che anche in anni in cui la produzione italiana si è mostrata più distratta tra le suggestioni delle facili commedie, ha tenuto fede ad un’idea creativa rigorosa, univoca. “Esiste un cinema di prosa e un cinema di poesia – spiega Soldini – . Una poesia però che non ha necessariamente a che fare con la sceneggiatura, ma con la regia, con il montaggio…”.

È dunque partendo da tali convinzioni che Soldini affronta di quando in quando cimenti all’apparenza minimi per cogliere, ben altrimenti, risultati del tutto convincenti. Giusto questo è il risultato cui approda con innegabile maestria e sapiente introspettiva il nuovo documentario Il fiume ha sempre ragione incentrato sulle figure di due “matti beati” intenti a pubblicare, l’uno, Alberto Casiraghy (l’editore-inventore del PulcinoElefante) con metodi tipografici del passato, preziosi “librini” di altrettanti outsider; l’altro, il ticinese Josef Weiss fondatore e gestore dell’Atelier d’Arte di Mendrisio, un tuttofare specialista di rilegatura, grafica, tecniche del restauro specialmente e appartatamente dedito alle cose della stampa e dei mezzi antichi e moderni di praticarla.

Alle prese con simili artisti-artigiani Soldini – si direbbe – ha dato fondo alla sua incondizionata curiosità e pedinando “zavattinianamente” ora l’indaffarato Casiraghy e ora il più riflessivo Weiss – anche nei momenti in cui le loro direttrici di marcia si intersecano, si sciolgono, si ricompongono – , si inoltra passo passo in un rendiconto sempre avvincente dei giorni, delle stagioni di questi rabdomanti di tutto e di nulla che, nel prodigarsi di piccoli eventi quotidiani, insospettate quanto originali scoperte vivono la vita con lo slancio, la passione di una filosofica avventura esistenziale.

È tutto un sommesso ribollire di piccole novità, di sorprendenti illuminazioni avvertibili nelle parole, nelle palpabili verità cui danno vita i gesti di Casiraghy e Weiss quasi fossero gli sciamani di una religione del creato tutto e sempre da riscoprire secondo una acquietata consuetudine vitalistica tangibile, vera. Soldini si inserisce tra questi stessi “matti beati” e rispettoso e discreto dà conto di tutto ciò che accade davanti ai suoi occhi: le cose solite e quelle sbalorditive, il bello e l’accattivante. Insomma il redde rationem più semplice scarnificato dell’essere uomini e persino inventori della vita.