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Sauro BORELLI- La famiglia assassina (“Il clan”, un film di Pablo Tropero)

 

Il mestiere del critico

 


LA FAMIGLIA ASSASSINA

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“Il clan”, un film di Pablo Tropero

 

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La tetra stagione della dittatura militare in Argentina culminata negli anni Ottanta con la sconfitta delle Falklands e la caduta dei generali felloni ebbe come momenti-cardine l’efferata persecuzione di ogni avversario e, in particolare, la serie di crimini legati all’ondata dei desaparecidos e di inenarrabili orrori perpetrati contro giovani studenti e qualsiasi persona presa di mira dagli “squadroni della morte”. Nel colmo di questo periodo di abiezione e di barbarie, inoltre, singoli personaggi o gruppi paramilitari scatenati (l’Alleanza Anticomunista Argentina, ad esempio) ebbero mano libera nel sequestro e in seguito nell’assassinio, dopo fasi di tortura micidiali, degli oppositori presi arbitrariamente di mira.

Un caso indicativo a questo proposito fu la vicenda delinquenziale cui diede vita, nella realtà, un tale Arquimedes Puccio già complice prezzolato dei militari torturatori e quindi nella fase di declino della dittatura organizzatore ed esecutore – in proprio, con la supina collaborazione del figlio Alejandro, noto campione di rugby – di ricatti e conseguenti eliminazione di malcapitati danarosi e indifesi. Questa storia venuta allo scoperto verso il 1985 ebbe, immediata, un’eco clamorosa e determinò la rovina dell’impresa familiare Puccio, appunto il “clan” che, incappato nelle maglie della giustizia finalmente ripristinata, subì la condanna che meritava per i molteplici ricatti e tre omicidi mandati a effetto con sadica indifferenza.

Arquimedes Puccio, il maggior responsabile di questa saga criminale, fu condannato all’ergastolo mentre il figlio Alejandro, nel frattempo pentito del suo passato di assassino, tenterà a più riprese il suicidio. Il peggio è che lo stesso Arquimedes scontò soltanto in parte, con vari privilegi, l’ergastolo subito e, per di più, studiando in carcere si laureò in giurisprudenza arrivando persino a esercitare una volta libero l’avvocatura. Finché nei primi anni Novanta la sua esistenza disgraziata ebbe definitivamente termine.

Tutto ciò è la traccia dettagliatissima del film Il clan di Pablo Tropero, noto cineasta argentino che mischiando ricordi giovanili e documentazione accurata ha ripercorso, nei modi e nei tempi ispirati al cinema spettacolare hollywoodiano (Scorsese, in primis), le gesta a metà canagliesche, a metà dettate da un familismo feroce da Arquimedes Puccio e da alcuni dei suoi complici figli. Diremmo che, così di primo acchito, si tratta di un film ostico, sia per l’innesco drammatico cui si impronta il racconto sia per le specifiche, ciniche fisionomie dei personaggi tirati in campo con glaciale refrattarietà. In ispecie, Arquimedes Puccio – reso con rigorosa verosimiglianza espressiva dall’esperto attore argentino Guillermo Francella – si caratterizza come il tipico mascalzone ipocrita e al contempo fiero, ribaldamente orgoglioso del proprio comportamento criminale.

Dettato da cadenze frammentate tra episodi cruenti e gli eventi connessi alla stagione esecrabile dei desaparecidos questo stesso film, contrariamente a quel che si può supporre, palesa un raccordo soltanto blandamente diretto con l’acquisito giudizio politico, morale sul potere dei generali assassini, mettendo altrimenti in evidenza l’aspetto di caso-limite di questa congrega definibile a ragione come una vera e propria “famiglia assassina”.

Già segnalato in alcuni festival internazionali, Il clan risulta dunque un film dall’impianto civile soltanto formalmente esteriore, poiché l’oggettivazione e la spettacolarizzazione dell’insieme ne fanno certo un’opera ben strutturata, ma altresì un racconto al più abilmente confezionato e basta. I desaparecidos meritano indubbiamente di meglio.