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Sauro BORELLI- Un selvaggio addomesticato (“The legend of Tarzan”, un film di David Yates)

 

Il mestiere del critico

 


UN SELVAGGIO ADDOMESTICATO

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“The legend of Tarzan”, un film di  David Yates

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Marcello Mastroianni era uno strano tipo. Specie nei suoi ultimi anni, forse “un po’ per celia e un po’ per non morir”, andava dicendo che massimo desiderio del suo mestiere sarebbe stato interpretare un film incentrato sulla figura di Tarzan. Ma non quello atletico, selvaggio, generoso incarnato, ad esempio, dal già campione di nuoto Johnny Weissmuller (e poi da infiniti altri interpreti), ma uno nuovo, tutto ipotetico, da lui medesimo immaginato: un Tarzan ormai al declino, coi muscoli flosci, l’aspetto macilento del pover’uomo.

Insomma, una brutta copia, con nient’altro da rivelare che i propri acciacchi e un’insanabile stanchezza. (in qualcosa di simile si era, del resto, cimentato interpretando l’anziano Casanova, tutto gotta ed enfisema, in “Il mondo nuovo” di Scola, n.d.r.)

Pare che Mastroianni questo suo bizzarro desiderio se lo portasse dietro da tempo e che, per la precisione, avesse persino già commissionato la sceneggiatura di quell’improbabile film all’esperto Age Incrocci e la regia all’amico di sempre Ettore Scola: titolo definitivo Tarzan il vecchio-La vera storia del re della foresta. Come si sa, non se ne fece nulla a causa delle cagionevoli condizioni di salute del grande attore. Forse è stato meglio così o, per azzardo, possiamo anche presumere che, fosse andata in porto simile impresa, avrebbe potuto toccare un esito certo sorprendente.

Ora, a parte il preambolo sul singolo (e inattuato) progetto di Mastroianni è di questo periodo l’ennesima sortita di un film dedicato al fantasioso personaggio di Tarzan (sembra che siano più di cento le pellicole su tale eroe) inventato nel 1914 (titolo originario Tarzan l’invincibile) dallo scrittore americano Edgar Rice Burroughs (1875-1950) tratteggiando la storia di Tarzan, personificazione intoccabile e incontaminata, commistione della figura mitica e del “buon selvaggio” destinata a eccitare l’immaginazione presto contagiosa di ogni lettore.

E sono stati poi innumerevoli, come si diceva, i film realizzati nel corso di oltre mezzo secolo. Ognuno di noi potrebbe citare quello (o quelli) preferito. Ma veniamo alla pellicola oggi in questione, appunto The legend of Tarzan produzione doviziosa (ben centoquaranta milioni di dollari) firmata da un cineasta scafato come David Yates – già collaudato nella serie di Harry Potter – e intenzionato a ribaltare, almeno esteriormente, l’impianto narrativo della celebre saga immersa in parte nella giungla e in parte nei sofisticati e datati ambienti socio-culturali della Londra vittoriana.

I rimandi e riferimenti tardo ottocenteschi in cui è immersa questa nuova avventura (sceneggiata da Adam Cozard e Craig Brewer) bordeggiano continuamente tra le antinomie di Natura e Cultura. Puntando soprattutto a raffigurare l’eroe eponimo – appunto Tarzan, altrimenti ritenuto legittimamente il rampollo di una aristocratica schiatta inglese, ovvero Lord John Greystoke – come una sorta di raddrizzatore di torti, non solo nel folto della giungla (ove spadroneggia con la bella Jane) ma altresì tra sordidi mestatori colonialisti belgi o di altri paesi determinati a impossessarsi di diamanti insanguinati e di un oppressivo strapotere.

La cosa va avanti di qua, di la tra l’Europa e l’Africa con personaggi “civilizzati” e “selvaggi” di variabili attitudini ma sostanzialmente intriganti contro l’indomito Tarzan, statuario e instancabile nel movimentato andirivieni di animali e di presenze umane, tutti mossi dai prodigiosi portenti delle invenzioni digitali.

In mezzo a questo intrico a metà favolistico, a metà riccamente illustrativo uno stuolo di bravi attori – da Alexander Skarsgard (figlio d’arte) a Margot Robbie, da Christoph Waltz a George Williams – si barcamena con maggiore o minore fervore dando una diligente rappresentazione dell’abusata invenzione di Edgar Rice Burroughs.

Con la sola variante che negli infiniti film di Tarzan del passato, l’eroe eponimo partiva dalla giungla per approdare, tra balzi e urla belluini, alla quieta, elegante compostezza della civiltà, mentre, qui, in questo The legend of Tarzan, il personaggio centrale, come si dice gergalmente, nascerà già “imparato” e ciò che accade in seguito convince soltanto a tratti. Valeva la pena spendere un patrimonio per un risultato così modesto?