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Sauro BORELLI- L’amore in prigione (“Fiore”, un film di Claudio Giovannesi)

 

Il mestiere del critico

 


L’AMORE IN PRIGIONE

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“Fiore”, il terzo film di Claudio Giovannesi

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Fin dal poetico titolo, Fiore, il terzo lungometraggio di Claudio Giovannesi rivela, almeno in parte, la singolarità del cinema di questo (quasi) cinquantenne cineasta già cimentatosi con apprezzabili esiti con opere quali La casa sulle nuvole (2009) e Alì ha gli occhi azzurri (2012). E se la seconda di tali prove si esercita variamente nella vicenda avventurosa-patetica di un adolescente italiano di origine egiziana, la prima prospetta una storia più complessa, articolata sul caso-limite di due fratelli spossessati dal padre quantomeno irresponsabile dell’eredità della casa di famiglia finita nelle mani di un ristoratore arruffone. Determinati a riprendersi il maltolto Michele e Lorenzo – questi i due fratelli in questione – partono alla volta del Marocco ove, dopo complicate digressioni, ritrovano anche il poco raccomandabile padre, in effetti un tipo estroso, ma non privo di sensibilità e arguzia che in qualche misura si riappacifica con i risentiti figli.

Il pregio forse più consistente della Casa sulle nuvole si consolida così in una favola bonaria, garbata sui contraddittori aspetti dei legami familiari che, per quanto chiaroscurali, si dimostrano, al colmo del confronto spesso conflittuale, un ambito pur sempre accessibile con qualche residua gratificazione. Perché, comunque, ci attardiamo a parlare dei primi due film di Giovannesi, quando adesso è in ballo il suo nuovo lavoro dal titolo accattivante Fiore? La cosa parrà un po’ tirata in campo indebitamente. In realtà, c’è, a parer nostro, una connessione evidente: in Fiore come nel ricordato La casa sulle nuvole si evocano momenti e dettagli di una esperienza ai limiti dell’improbabile, giusto per cavarne una moralità né predicatoria né saccente. Anzi. La trama che sorregge appunto Fiore analogamente a quella della Casa sulle nuvole, si radica e si avvolge progressivamente ai due personaggi centrali del racconto, l’adolescente riottosa e indomabile Daphne (Daphne Scoccia) e il giovane disadattato Josh (Josciua Algeri), entrambi finiti in carcere per desolanti trasgressioni e reiterati colpi di testa.

È qui, in questo preciso contesto carcerario, che nasce, prolifica la storia d’amore “impossibile” tra i due giovani che, strenuamente, con ogni praticabile espediente (sguardi ostinati, lettere, contatti arrischiati), cercano, infittiscono tutte le occasioni per vivere, come sanno (come possono), la loro “passione nativa”. Niente e nessuno possono scalfire l’afflato solidale che anima Daphne e Josh, poiché la sola ragione che li fa vicini, insostituibili l’uno per l’altra, è proprio l’amour fou che, contro tutto e tutti, li redime, li salva dalla disperazione.

Claudio Giovannesi segue passo passo l’evolversi tortuoso di ogni situazione delle alterne fasi del vivere (sopravvivere) in prigione. Ma non interviene mai nel divampare di quell’amore irriducibile, lasciando del tutto sospeso il proprio personale giudizio su tanta e tale vita vissuta. Fiore risulta, a conti fatti, una testimonianza oggettiva di un episodio, una storia per sé sola importante. Non è più in discussione perché e come si amano. È importante semmai dare distaccata testimonianza di un piccolo apologo che ognuno può valutare per quello che esclusivamente è: una parabola attuale sul mondo giovanile così, nuda e cruda, come è raccontata.

C’è, peraltro, una piccola coda sul conto di Fiore. Giovannesi ha dichiarato sorprendentemente che questo suo nuovo film si potrebbe definire come “una sorta di Tempo delle mele ma in prigione”. Simile affermazione, sebbene detta senza dare eccessivo peso al suo significato letterale, suona come una valutazione incomprensibile, dato che, da sempre, il modello sommo cui aspira di rifarsi Giovannesi consiste, per sua stessa ammissione, il grande austero Robert Bresson e, in ispecie, al suo dolente, tragico Mouchette. Va ricordato, infatti, che mentre Il tempo delle mele si impose anni fa come l’epitome del melò sentimentale giovanilistico, Mouchette si dimostrò subito una delle vette del cinema maggiore di ogni tempo. Fiore, dunque, merita un voto positivo, ma senza alcun altro azzardato riferimento. Sia chiaro.