Sauro BORELLI- Hollywood nera (Dulton Trumbo e “L’ultima parola”, un film di J. Roach)

 

Il mestiere del critico


 

HOLLYWOOD NERA

 

“L’ultima parola”, un film di Jay Roach

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Per i cinefili più attempati, Dalton Trumbo è un nome che costituisce tutta una storia. Quella della “Hollywood nera” degli anni Quaranta-Cinquanta ove, in un clima di caccia alle streghe, si decretò un feroce ostracismo contro tutti i “rossi”, ovvero comunisti, presunti tali e chiunque mostrasse qualche simpatia per la milizia progressista. Furono anni difficili, un tempo di pratiche abiette e di pretestuose persecuzioni ad personam. Basta l’espressione “i dieci di Hollywood” per prospettare subito quanto e come il maccartismo dilagante – una sorta di febbre reazionaria fatta di intolleranza, razzismo e furia patriottarda – per dare immediata l’idea dei tempi più bui della realtà americana.

In questo preciso periodo è dislocato, appunto, il nuovo film di Jay Roach L’ultima parola-la vera storia di Dalton Trumbo (tratto dal libro di Bruce Cook Trumbo) un “biopic” di robusto impianto drammatico, dedicato, appunto, allo sceneggiatore-principe omonimo. Il quale, dopo una prestigiosa carriera negli anni Quaranta, accusato di essere iscritto al Partito comunista statunitense, fu sanzionato dalla famigerata Commissione contro le attività antiamericane, per essersi avvalso di non rispondere a tale accusa in base al dettato del primo emendamento della Costituzione. Cosa che gli costò, nell’immediato, quasi un anno di carcere e, in seguito, il boicottaggio totale da parte di tutti i produttori hollywodiani.

Dalton Trumbo,come tanti altri personaggi della sinistra statunitense (scrittori, intellettuali, artisti e militanti di tutte le categorie) furono in tal modo costretti alla disoccupazione e a mille altre vessazioni, tanto da provocare persino traumi irreparabili e la morte di parecchie delle malcapitate vittime. In effetti, Trumbo, benché tribolato anche in famiglia – con la pur solidale moglie Cleo e i tre figli sconvolti da tanta e tale persecuzione – ,ebbe, pur dopo desolanti tradimenti e voltafaccia da parte di supposti amici, avventurose occasioni per campare meglio la vita grazie all’aiuto dei coriacei fratelli King, produttori di b-movie, determinati a non farsi condizionare dai cacciatori di streghe (tra i quali da annoverare gli zelanti Richard Nixon e Ronald Reagan).

Ci furono anche, nel corso di questo tetro periodo altri personaggi celebri, quali i registi Elia Kazan e Edward Dmytrick, gli attori John Wayne e Robert Taylor, fiancheggiati istericamente dalla “comare di Hollywood” Hedda Hopper, che con zelo degno di miglior causa si prodigarono all’eccesso nel chiedere (e ottenere) il bando totale dei “reprobi” comunisti e, in ispecie, di Dalton Trumbo, colpevole a loro dire di minare l’integrità e il benessere della patria americana.

Tutto ciò è detto, spiegato con semplice evidenza nel film di Jay Roach ove un bravissimo Bryan Cranston dà corpo convincente (e spesso ironico) al personaggio centrale ben coadiuvato da Diane Lane (la moglie Cleo) e da una piccola folla di comprimari nelle vesti dei divi e dei registi più noti: da Kirk Douglas a Otto Preminger, da Edward G.Robinson a John Goodman. Come altrettanto semplicemente è raccontata la vicenda degli aspetti ora grotteschi, ora surreali della forzata finzione delle sceneggiature prima dei b-movie, poi di Vacanze romane, Spartacus, Exodus: alcuni premiati surrettiziamente con l’Oscar in assenza dell’anonimo John Rich, pseudonimo dello stesso Trumbo; altri palesemente salutati da un successo vistoso (come l’ultimo lavoro di Trumbo, scomparso nel 1976, Papillon).

C’è chi ritiene che questa Ultima parola valga pressappoco come un onesto e modesto omaggio apologetico sia al tenace, coerente Trumbo autore tra l’altro di un libro e di un film intitolati entrambi E Johnny prese il fucile, problematica vicenda di un soldato ridotto ad un tronco umano. A nostro parere invece un tale giudizio ci sembra quantomeno distratto, riduttivo. L’ultima parola risulta, ben altrimenti, per l’appassionata interpretazione di Cranston e l’incalzante quanto esemplare raffigurazione della Hollywood e dell’America in preda al maccartismo un’opera compiutamente riuscita, non fosse altro quale semplice memento di ciò che fu l’epopea coraggiosa dei “dieci di Hollywood” e di tant’altre vittime di un evento assolutamente vergognoso.

Personalmente, questo stesso film ci ha ricordato un altro lungometraggio incentrato sul periodo maccartista Il prestanome del cineasta progressista Martin Ritt. Il ricordo è legato soprattutto a due interpreti comici d’eccezione Zero Mostel e Woody Allen. In particolare, ci è parso divertente e del tutto azzeccato l’epilogo che suggella la vicenda portante: il “prestanome” Woody Allen, interrogato dalla Commissione contro le attività antiamericane s’impapocchia e risponde come può, come sa agli inquisitori ed esce, come si dice, dalla comune.

Però, dopo un po’ ci ripensa e mettendo dentro la testa pronuncia un brillante congedo dalla menzionata Commissione: “Scusate, ma devo dirvi ancora una cosa: andate un tantino affanculo!”. Nell’Ultima parola Trumbo-Cranston si presenta nobilmente e ringrazia il colto pubblico e l’inclita guarnigione per la riacquistata dignità e libertà della sua vita. Ma il congedo di Woody Allen resta, pur sempre, a nostro parere, un gesto tutto dovuto.

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