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Sauro BORELLI- Sotto l’incubo dell’atomica (“Il ponte delle spie”, un film di Steven Spielberg)

 

Il mestiere del critico



SOTTO L’INCUBO DELL’ATOMICA

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“Il ponte delle spie” il nuovo film di Steven Spielberg

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Sul finire degli anni Cinquanta la guerra fredda conobbe il suo momento più acutamente drammatico. Stati Uniti e Unione Sovietica, le sole potenze in possesso dell’atomica, non si perdevano una sola occasione per determinare provocazioni e scaramucce per “mostrare i muscoli” e dare a vedere, in tal modo, quale e quanto l’una potenza e l’altra avessero la possibilità di risolvere catastroficamente ogni più grave controversia. Insomma, un gioco parossisticamente arrischiato che poteva sfociare in un irrimediabile olocausto nucleare.

In questi frangenti, l’America forzava la mano instaurando nel Paese un clima di sospetto, di persecuzione maniacali verso tutto ciò che arieggiava alla sinistra – il famigerato maccartismo – mentre in URSS ogni parvenza di dissidenza dall’ideologia ufficiale costava veti e sanzioni gravissimi. In buona sostanza, un incubo a doppio registro e se gli americani se la prendevano con ogni larvata forma di comunismo, i sovietici statuivano un clima di conformismo civile, sociale, politico assolutamente repressivo.

Indagando – come da sempre è sua pratica privilegiata in questo intrico mondiale – Steven Spielberg, non nuovo alle perlustrazioni dei temi drammatici della guerra e delle sue rovinose conseguenze, ha puntato con Il ponte delle spie su una storia che, pur rifacendosi ad un episodio realmente accaduto, svaria, attraverso eventi, personaggi, vicende variamente articolati in un esemplare, quasi didascalico racconto di casi incrociati di un noto avvocato newyorkese e di una spia confessa al servizio dell’URSS. In estrema sintesi: nel ’57, in piena guerra fredda, l’FBI arresta a Brooklyn Rudolf Abel e lo accusa di essere un delatore al servizio del KGB.

Della sua difesa viene incaricato James Donovan, avvocato civilista specializzato in cause assicurative. Abel viene condannato a trent’anni di prigione (invece della presumibile condanna a morte) in forza del fatto che lo stesso Donovan prospetta l’idea che Abel potrebbe divenire, in caso estremo, un utile personaggio di scambio qualora i sovietici avessero, a loro volta, una risorsa analoga per patteggiare un confronto alla pari.

Manco a dirlo, di lì a poco, nel 1962, il pilota-spia Gary Powers viene abbattuto sul suo superaereo, l’U2, sul territorio sovietico. Ed ecco, subitaneo, il passo dell’avvocato Donovan, mobilitato in incognito dal governo statunitense per instaurare i cauti ma decisivi contatti per organizzare l’ostica trattativa con i sovietici per lo scambio tra la spia Abel e il pilota Powers. In un tetro clima raggelato – in tutti i sensi: i contatti tra grigi gregari russi e desolanti funzionari americani si svolgono tutti nella Berlino spaccata dal muro tra Est e Ovest (con le tragiche conseguenze che si sanno) – ove alle proposte di Donovan, coinvolto avventurosamente nei gesti di una pantomima squallida, si contrappongono le manovre insidiose non solo dei negoziatori sovietici ma altresì i maneggi degli ambiziosi funzionari della neonata Repubblica Democratica Tedesca.

Fintantoché, dopo esasperanti incontri, la questione dello scambio viene, pur tra mille titubanze e finzioni, affrontata risolutamente: in una notte nebbiosa su un ponte deserto di Berlino Est, i due personaggi contesi, Abel e Powers, sono definitivamente scambiati.

La storia nei suoi aspetti più esteriori è tutta qui. L’innesco e l’evoluzione del Ponte delle spie, peraltro, si incentrano soprattutto sul duello “recitato” di due formidabili interpreti – come Tom Hanks (Donovan) e l’esperto attore teatrale inglese Mark Rylance (Abel) – e sull’evocazione puntigliosa di uno scorcio psicologico-ambientale della vicenda che sfuma presto dai toni realistici a una raffigurazione metaforica di un clima, una situazione sempre sull’orlo della patologia.

Girato con metodo tradizionale – sceneggiatura di ferro ad opera dei talentuosi fratelli Coen, interpreti più che collaudati, una coloritura tendente sempre alla cupa atmosfera di perenne diffidenza – Il ponte delle spie rientra in quei film per i quali Spielberg profonde tutta la sua sapienza creativa dando risalto e immediatezza spettacolari a figure, fatti, invenzioni che, per sé soli, costituiscono l’asse di una lezione, oltreché cinematografica, storica e morale. Anche se Spielberg resta, va ripetuto, sostanzialmente Spielberg un creatore di spettacoli magistrali, superlativi.