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Sauro BORELLI- L’emozione prende l’anima (“Inside out”, un film di Peter Docter)

 

 

Il mestiere del critico

L’EMOZIONE PRENDE L’ANIMA

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“Inside out”, un film di Pete Docter

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I cultori attempati del cinema d’animazione resteranno un po’ spiazzati davanti al film, appunto di animazione, Inside out sceneggiato e diretto dall’eclettico Docter per conto della prestigiosa casa Pixar Administration Studios, ora integrata nella più potente Walt Disney. Il primo motivo di stupore di fronte a questo elaboratissimo manufatto è dato dalle componenti che lo caratterizzano – personaggi bambini, décor scenografico fastoso e festoso, ritmo incalzante, intenti morali edificanti – in un tourbillon sempre nuovo e sorprendente.

Tanto che non c’è un attimo di tregua alle avventure concitate che si inseguono sulle tracce dei soprassalti cui sono costretti una mezza dozzina di figurine scaturite dalla fervida fantasia di una ragazzetta del Minnesota, Riley, condizionata (in positivo e in negativo) dalla convivenza coi pur affettuosi genitori, costretti dalla necessità a trasferirsi dalla nevosa zona d’origine alla fracassona, sordida, invivibile San Francisco.

Ma i motivi di sconcerto per gli spettatori più anziani – poiché per contrasto, quelli legati ancora all’infanzia si dimostrano più che appagati del nuovo spettacolo – risultano la misura e le proporzioni di una favola preziosa ma troppo concitata, visto l’incalzarsi precipitoso non tanto, non solo delle azioni, dei gesti delle sbalorditive novità, ma ben altrimenti dall’incarnazione visibile, sensibile delle emozioni, dei sentimenti e, di logica conseguenza, di effetti tutti precipitosi. In estrema sintesi si tratta di una “animazione” tutta aggiornata secondo tecniche e risorse sofisticate – in omaggio ai sortilegi del “digitale” – che, facendo leva su un impianto figurativo disinibito, incantato dà corpo e senso (quasi) tangibile a tutte le meraviglie del possibile e dell’immaginario più sbrigliato.

In breve, Riley, una bambinetta di undici anni, spensierata e felice, adorata dai genitori, nel suo nevoso Minnesota, scopre con disappunto che la sua famiglia, forzata dal bisogno di lavoro, deve traslocare a San Francisco. In lei benché ancora molto infantile, agiscono allora i personaggi di fantasia ma ben concreti e determinati della Gioia, della Tristezza, del Disgusto, della Paura, della Rabbia alternativamente occupati a colorare di tinte fosche o rasserenanti le loro gesta.

Il momento critico delle giornate, ora chiare ora fosche,della sensibile Riley si verifica allorché, installata la sua famiglia in un brutto posto di San Francisco, in lei affiorano i sentimenti di una sua tutta privata esistenza per il tramite della festosa Gioia, vera animatrice di ogni evento e dei più o meno docili Tristezza, Disgusto, Rabbia, Paura via via affioranti dal succedersi di una storia eccentrica, dislocata nella Terra della Memoria – chiave di volta dell’intiera avventura – , nella camera dei Pensieri Astratti, nell’abisso del Subconscio e via fantasticando.

Il punto dirimente della scatenata sarabanda di Gioia e di tutti i suoi bislacchi complici (Tristezza sempre incollata addosso con i suoi gesti rovinosi), Rabbia, Paura, Disgusto emerge quando questi si agitano, corrono a perdifiato, si azzardano nei più spericolati cimenti, mentre colei che li ospita appunto l’inquieta Riley si barcamena tra una rassegnata esistenza e ripetuti tentativi di rifarsi una esistenza nuova, nel suo riconquistato Minnesota.

Tutto questo mischiato e movimentato in un vertiginoso carosello che, se da una parte prospetta la semplice suggestione di una azzeccata favola, dall’altra moraleggia e ironeggia con sapiente gusto sull’eterna disfida tra il bene e il male. Ovvio che l’epilogo di simile incursione nel mondo dell’animazione approda a un esito del tutto confortante. Del resto, viste le premesse e gli sviluppi dell’abile canovaccio imbastito da Pete Docter (già accreditato di analoghi successi con Monsters & Co. e Up), non poteva che toccare questo “gioioso” risultato.