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Anna DI MAURO- Il mito in versione latina- (“Medea” di Seneca al Teatro Greco di Siracusa. Prod. Inda)

 

 

Da Siracusa

 


IL MITO IN VERSIONE LATINA

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“Medea” di Seneca  al Teatro Greco di Siracusa- La modernità di un celeberrimo personaggio  in versione latina

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Nella traduzione di Giusto Picone, arricchita con alcune parti di un testo di Heiner Muller, con l’adattamento teatrale e la regia di Paolo Magelli, prende vita la  raffinata e moderna Medea di Seneca, mai rappresentata a Siracusa. Scritta nel I sec. d.C.la tragedia presenta alcune varianti rispetto alla più conosciuta di Euripide.  Lo stoicismo  dell’autore latino condanna le passioni e dunque  fin dall’esordio Medea  è  la maga cattiva e spietata, la madre snaturata, pazza d’amore, che non accetta l’abbandono e uccide  i figli. La rappresentazione di  questa  esemplare rovina offre un modello di riflessione su ciò a cui possono condurre le insane passioni, quando non tenute a freno.

Fin qui Seneca. L’interpretazione del regista va oltre, entrando in profondità nelle viscere della donna più ostica, a memoria d’uomo, per estrarne nuovi succhi e nuova linfa, alla luce di una attualizzazione che quest’anno  al  Teatro Greco vede protagoniste  donne venute dal mare.

Una nenia mediterranea sottolinea l’ingresso di Medea in una  scena di  bianchi labirinti, tubi, acquitrini di un mare che si è ormai ritirato.E’ disperata, sciatta, siede in terra, dimessa, già in preda al lacerante conflitto, dolorante, farneticante. La donna ( una sorprendente, intensa e instancabile Valentina Banci) sarà sempre in scena e sempre in primo piano, col suo passo claudicante, le vesti sdrucite, in costante contrasto con l’ingresso dell’elegante coro di borghesi-cattivi dai raffinati abiti anni ’20, in puro stile Fortuny. Innamorata e abbandonata, circondata, circuita, umiliata da questo sprezzante, fatuo, salottiero mondo della moda primo Novecento, l’infelice esplode a tratti in gesti scomposti e nevrotici, in deliranti narrazioni del suo amore per Giasone, a cui  tutto ha sacrificato: la patria abbandonata,gli affetti familiari, la posizione sociale.

A lui ha dato due figli, ma lui si è innamorato di Creusa, figlia di Creonte e vuole sposarla, abbandonando lei. Cacciata da Creonte che la teme, Medea ottiene un giorno di proroga. La maga, dopo un vano tentativo di riconciliazione con un Giasone angosciato, debole ( altra diversità rispetto ad Euripide), userà questo tempo per vendicarsi atrocemente dell’abbandono e del ripudio, uccidendo con un sortilegio la rivale e infine, di sua propria mano, in scena,( anomalia rispetto al modello greco) i bambini.  Persecutorio e ipocrita, il coro, in irridente sfilata, ancor più in stridente contrasto, si scaglia contro la cenciosa perseguitata, ritenuta pericolosa. La straniera… lei è la straniera, da temere, da condannare, da allontanare. La seppelliranno, viva,  sotto  cumuli di polvere. Anche questo finale è inusuale. Nessun carro del sole rapirà la sventurata. Nessun trionfo, nessuna divinizzazione.

Il tema dello straniero venuto dal mare è dunque il fil rouge di questo 51°ciclo di rappresentazioni classiche, tema di grande attualità.

L’atteggiamento assolutista dell’eroina, una straniera che ha perso l’amore, decisa a tutto, capace di gesti inaccettabili nella morale comune, come l’assassinio dei propri figli, il regista ha voluto leggerlo  come atto supremo di rottura tra  due mondi contrapposti. Il mondo degli “ inchinati” non  appartiene a questa tragica figura  del mito.  I due mondi non possono fondersi. La donna, sola contro tutti,  rifiuta di integrarsi in una società falsamente perbenista, ipocrita, ingiusta, senza dei; dunque non si arrende di fronte al potere dello stato che la ospita, ritenendo che ogni forma di potere sia ingiusta.

La  coraggiosa ribellione  emerge dopo un  profondo travaglio, non solo sentimentale, che la porta  a una scissione dolorosa: un Io solare, folle, distruttivo,  che finirà per  imporsi  su un Io lunare più riflessivo. Sentiamo che persino sotto la polvere il ruggito indomito di Medea echeggia nel grande teatro suggellando una scelta assoluta: indietro non si torna.

Una lettura socio- politica dunque, che sottolinea la modernità del testo e si aggiunge alle possibili interpretazioni di una vicenda difficile da comprendere,  che ha reso questa tragedia una delle più celebri del panorama classico.

Gli altri interpreti : Filippo Dini è Giasone, Daniele Griggio è Creonte, Francesca Benedetti la nutrice, Diego Florio il messaggero. Corifei e corifee.