Le illusioni di un uomo ridicolo. Alla Pergola di Firenze “Mine vaganti” di Ferzan Özpetek

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Le illusioni di un uomo ridicolo. Alla Pergola di Firenze “Mine vaganti” di Ferzan Özpetek

@ Mattia Aloi, 05-04-2022

Trasporre un’opera cinematografica in una teatrale non è uno scherzo. Mentre nel cinema il regista può imporre il suo punto di vista prospettico, stabilendo cosa sottolineare con l’inquadratura, nel teatro è il pubblico a decidere cosa guardare; i tempi e lo stile di recitazione vengono stravolti per potere diventare dialogo: il teatro è dialogo fra pubblico e personaggi, il pubblico ha dalla sua l’enorme potere del feedback, restituisce qualcosa di vivo all’attore che deve quindi adattarsi di spettacolo in spettacolo, di pubblico in pubblico. Per pura coincidenza la mia visione dello spettacolo è coincisa con la centesima replica e ho potuto constatare che il successo che ha avuto questa trasposizione teatrale di “mine vaganti” è assolutamente meritato. Ferzan Özpetek e Ivan Cotroneo firmano dopo quella del film originale anche la sceneggiatura di questo adattamento teatrale, abbracciando così bene il linguaggio scenico da renderla un’opera con pari dignità rispetto al capostipite cinematografico. Il registro vira verso il comico mantenendo  comunque il sentimento di smarrimento dei personaggi che lottano contro i propri e gli altrui ragionamenti retrivi; nel ruolo del capofamiglia Pannofino fa da mattatore riuscendo a trasformare la figura tirannica del padre padrone in un anacronistico borghese piccolo piccolo, di cui avere compassione ma soprattutto di cui ridere per via dell’ignoranza manifesta e grottesca. Ottima anche Iaia forte nel ruolo della madre nel cui animo il sentimento del contrario impera riguardo al ruolo di genitore: nel rapporto con i figli si ritiene investita dei poteri di un demiurgo onnisciente – come se essere madre fosse un destino privilegiato disceso dalla volontà degli dei -, finendo per scoprire di non averli mai ascoltati e compresi veramente.

Fiore all’occhiello dello spettacolo è certamente il livello di interazione e scambio con il pubblico in sala: il regista ha compreso il valore aggiunto e la sostanziale differenza fra pellicola e scena e lo ha saputo sfruttare egregiamente; come detto in precedenza nel cinema non si può avere un feedback diretto dello spettatore, di conseguenza vi è una comunicazione a senso unico, mentre nel teatro la presenza in vivo crea la magia della mentalizzazione fra attore e pubblico. I personaggi compiono un crescendo di incursioni in platea, fino a diventare parte stessa del pubblico durante lo spettacolo metateatrale che risulta essere il punto di svolta risolutivo nel rapporto fra il protagonista e i genitori. Quello che accade nel momento in cui i personaggi si fanno pubblico e assistono all’esibizione cabarettistica, è che il figlio usa come tramite il teatro per mostrarsi davanti al padre, che in questo modo deve lasciar cadere le difese imposte dal Super-Io imperante forgiato nella dottrina cattolica e vedere finalmente, attraverso i due amici del figlio travestiti per lo spettacolo, l’espressione di autenticità di colui che è riuscito a rivendicare se stesso senza prostrarsi di fronte alle “voci di paese”. 

L’impianto scenico leggero permette dei cambi scena fluidi demarcati dal movimento dei tendaggi rendendo lo spettacolo scorrevole e coinvolgente: un buon motivo per andare a teatro.

MINE VAGANTI

Francesco Pannofino
Iaia Forte
Erasmo Genzini
Carmine Recano

e con Simona Marchini

uno spettacolo di Ferzan Ozpetek

e con (ordine alfabetico) Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori
scene Luigi Ferrigno
costumi Alessandro Lai
luci Pasquale Mari
produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo, Fondazione Teatro della Toscana
foto di scena Romolo Eucalitto

Author: Mattia Aloi

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