Zio Vanja: il dolore esistenziale che nessuno può sconfiggere

Zio Vanja: il dolore esistenziale che nessuno può sconfiggere

@ Francesco Bianchessi, 29-03-2022

La monotona routine di una tenuta di campagna viene sconvolta dall’arrivo del professor Aleksandr Serebrijakov e della sua giovane moglie Elena. Ivan, chiamato affettuosamente da sua nipote Sonja “zio Vanja”, prova un profondo risentimento per il cognato, l’anziano professore Aleksandr; egli, un tempo sposato alla sorella di Ivan, si è ora risposato con Elena, una donna giovane e avvenente. Vanja la desidera, ma Elena preferisce a lui il dottor Astrov, medico di suo marito, un uomo intelligente, idealista ma profondamente infelice. Il risentimento di Vanja nei confronti di Aleksandr cresce a tal punto che egli, in preda alla frenesia, tenta di ucciderlo sparandogli due colpi di pistola ma mancandolo entrambe le volte. Incapace di amare la bella Elena, di consolare l’amata nipote Sonja, di uccidere il suo rivale e perfino di suicidarsi Vanja è un eroe tragicamente passivo, sarà proprio la giovane Sonja, buona di cuore ma brutta, a rivelargli, in un toccante monologo finale che la sofferenza, volta a guadagnarsi il paradiso, è il senso della vita terrena.
L’intero dramma è percorso da una schiacciante apatia nei confronti della vita, ogni tipo di azione concreta è assente. Nessuno dei personaggi ha realmente il coraggio di ribellarsi al destino che lo opprime: Sonja, a causa della sua insicurezza, non riesce a confessare al dottor Astrov il suo amore, condannata a vivere un’esistenza monotona, lavorando alla tenuta di famiglia senza avere l’aspirazione a migliorare la propria vita.
Allo stesso modo, anche la bella Elena è una persona che vive in modo inerte i suoi giorni. Si è infatti sposata con il vecchio e ricco Aleksandr per assicurarsi una vita agiata. Tuttavia, una volta scoperto quanto è difficile vivere con un uomo così egoista e avaro di sentimenti, ha paura di cambiare la propria esistenza, neanche l’amore per Astrov riesce a darle il coraggio di liberarsi da quella gabbia che si è costruita da sola.
Infine, Vanja è un uomo che vive nel rimpianto. Sa benissimo di aver perso i migliori anni della sua vita lavorando nella tenuta di famiglia. La consapevolezza di aver consumato così la giovinezza lo riempie di frustrazione e di rabbia.

L’unica azione degna di essere compiuta è bere, nella vodka i personaggi ritrovano se stessi e si esprimono liberamente salvo poi pentirsene una volta rinsaviti.
Roberto Valerio porta in scena uno dei testi più importanti e significativi di Čechov con una regia dinamica e minimalista. In scena una vecchia credenza, un tavolo e una poltrona. Altri oggetti vengono fatti “comparire” all’occorrenza sfruttando la parte posteriore del palco, con un abile gioco di luci e un separé calato dall’alto. Questo fornisce alla rappresentazione un tono evanescente, permettendo un’intelligente manipolazione dello spazio ai fini della messa in scena. Lo spazio e il tempo sembrano infatti relativizzarsi trasportando il dilemma esistenziale cechoviano al di fuori della storia. Di notevole impatto la scena finale dove Vanja e Sonja letteralmente ascendono al cielo.
Ottime le interpretazioni dei sei attori, sempre credibili ed energici.
Uno spettacolo assolutamente consigliato per riscoprire uno dei grandi maestri del teatro russo.

 

ZIO VANJA

di Anton Čechov
adattamento e regia Roberto Valerio
con Pietro Bontempo, Mimosa Campironi, Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina,
Massimo Grigò, Alberto Mancioppi, Elisabetta Piccolomini
costumi Lucia Mariani
luci Emiliano Pona
suono Alessandro Saviozzi
allestimento Associazione Teatrale Pistoiese
produzione Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale
con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana

Al Teatro Franco Parenti di Milano