La stanza segreta di Marco D’Agostin

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La stanza segreta di Marco D’Agostin

@Cristina Dalla Corte, 05-11-2021

Non è forse la famiglia il luogo in cui si vive e muore assieme, si ricorda e si dimentica assieme?

È l’incipit con cui Marco D’Agostin presenta, in prima nazionale, “Saga” la sua ultima creazione, frutto di laboratori residenziali svolti nelle montagne piemontesi a Fenestrelle, Oulx, Pragelato e nelle comunità montane degli alpini. Il lavoro è presentato da una galleria fotografica (sul sito di Torinodanza) che raccoglie immagini e memorie di persone e luoghi che hanno condiviso esperienze, lavoro, gioco.

Questa è la famiglia di cui si parla: non quella biologica che solo per pochi fortunati coincide con la memoria del vissuto, ma la famiglia come luogo di condivisione, la famiglia che ci creiamo, con sorelle, fratelli, madri e padri raccolti dall’esperienza della vita.

Per affrontare questo studio delicato il coreografo allude ad una sorta di antropologia della parentela, prendendo in considerazione centinaia di esempi, nei quali i legami parentali vengono costruiti come extra-natali (residenza, lavoro collettivo, prossimità funzionale, memoria condivisa, linguaggio, cultura), traendo spunto da Marshall Sahlins.

[Marshall D. Sahlins, un eminente antropologo culturale del Pacifico, noto per aver scatenato vivaci dibattiti accademici, è morto il 5 aprile. Aveva 90 anni. Per Sahlins, l’antropologia è stata sia un privilegio che un’avventura nel “riprodurre nella propria mente il modo in cui il mondo è messo insieme per le altre persone”. “L’antropologia, in un certo senso, ha una possibilità di verità ancora migliore della fisica, perché la verità è umana, e lo sei anche tu”].

Sahlins, ci presenta una conturbante verità: esistono modi diversi di pensarsi come parenti che mettono profondamente in crisi il mondo occidentale, sciogliendo ogni vincolo tra genealogia e parentela.

I cinque interpreti, Marta Ciappina, Alice Giuliani, Stefano Roveda, Julia Rubies e lo stesso D’Agostin, vivono uno spazio comune e vuoto, delimitato al centro da un tappeto rettangolare d’un bianco marmoreo che definisce il primo focus, mentre a lato in proscenio un tavolino con bicchieri e bottiglie d’acqua fissa il secondo focus dell’azione. Sullo sfondo una finestra, dalla strada suoni e rumori della vita comune, un tram, una canzone dal primo piano, un passante fischietta, una donna parla al balcone.

La relazione tra i performer è casuale, un incontro fortuito, uno slancio improvviso, fantasmi che appaiono e scompaiono rievocati da un canto appena accennato che diventa coro, accompagna l’incontro, ma lo sguardo e l’intensità della relazione non si scioglie mai. Per un’ora gli interpreti sono legati da fili invisibili e memorie inconsce, da ricordi e vissuti personali e collettivi, dove ritrovarsi intorno ad un tavolo per bere un bicchiere d’acqua: ogni incontro riecheggia e si declina all’infinito.

Provate a focalizzare questo gesto semplice: bere un bicchiere d’acqua insieme, dopo aver giocato, dopo una lunga passeggiata, in una giornata di sole afosa o in una giornata di lavoro, pensate alle mille volte in cui l’avete fatto e con chi, con quale intensità.

Si chiama “condivisione”: parola aliena che la cultura individualista vuole abolire dal vocabolario. In quest’opera D’Agostin ci incoraggia ad immaginare una modalità di sopravvivenza collaborativa, in un pianeta infettato dalla solitudine. L’ensemble, canta assieme, gli uni per gli altri, coltivando reciproci desideri. Raccogliendo la sfida della filosofa statunitense Donna Haraway, secondo la quale questi tempi hanno bisogno di storie: storie di nuove famiglie e di nuove alleanze, per imparare a “vivere e morire insieme”.

Il finale spezza ogni indugio e arriva con profonda emozione: la finestra sullo sfondo – prima anonima spettatrice -, si consuma come corrosa dall’acido, una casa dimenticata e disabitata che il tempo dissolve. Lentamente, nel buio, la “finestra” cede al tempo e all’incuria lasciando emergere una camera segreta, un’antica raccolta di memorie, su cui un enorme lampadario a goccia si accende flebilmente. Appare dai meandri dell’inconscio la stanza della memoria, invisibile, ma sempre presente e luminosa.

Non il momento intenso
isolato, senza prima né poi,
ma tutta una vita che brucia in ogni momento
e non la vita di un uomo soltanto
ma di vecchie pietre che non si possono decifrare.
C’è un tempo per la sera a ciel sereno,
un tempo per la sera al paralume
(la sera che si passa coll’album delle fotografie).
T. S. Eliot

Marco D’Agostin è un artista attivo nel campo della danza e della performance. Per il suo lavoro come autore ed interprete gli sono stati attribuiti numerosi riconoscimenti: il Premio UBU 2018 come miglior Performer Under 35, il Premio Gd’A Veneto 2010, la Segnalazione Speciale al Premio Scenario nel 2011, il Premio Prospettiva Danza 2012, il Teatro Libero di Palermo Prize al BEFEstival e il secondo premio al concorso (Re)connaissance di Grénoble nel 2017.
Dopo una formazione disarticolata con maestri di fama internazionale (Claudia Castellucci, Yasmeen Godder, Nigel Charnock, Rosemary Butcher), consolida il proprio percorso sia come interprete (per la Socìetas Raffaello Sanzio, Alessandro Sciarroni, Tabea Martin, Liz Santoro tra gli altri) che come autore (i suoi lavori circuitano dal 2010 ad oggi in tutta Europa).
La sua poetica è fluida, dinamica, in adattamento continuo.
Marshall Sahlins. Nel corso della sua carriera ha cercato di de-centrare i paradigmi epistemici occidentali in antropologia, sfidando le idee della sociobiologia e della teoria economica capitalista sostenendo che i fattori culturali – in contrasto con la biologia e la competizione egoistica – erano la chiave per modellare i modelli di comportamento e sviluppo umano.
2008 Un grosso sbaglio. L’idea occidentale di natura umana, Elèuthera, Milano, 2010
2012 La parentela. Cosa è e che cosa non è, Elèuthera, Milano, 2014

Festival Torinodanza
MarcoD’Agostin
“Saga”
Prima Nazionale – Fonderie Teatrali Limone
20 ottobre 2021

Author: Cristina Dalla Corte

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