Buon Compleanno Anne Teresa!
@Cristina Dalla Corte, 12-11-2021
La chiusura del Festival Torinodanza ha ospitato una grande artista che non ha bisogno di presentazioni: Anne Teresa De Keermaeker.
La fondatrice di Rosas ha concluso il suo viaggio dedicato a J.S. Bach: l’esperienza ha trovato la sua naturale realizzazione nei Concerti Brandeburghesi e nelle Goldberg Variations BWV 988, composte nel 1742 in onore di un giovane compositore allievo di Bach, talentuoso quanto sfortunato, malato di tubercolosi e morto all’età di ventinove anni.
Le variazioni, più di Trenta, vennero composte da Bach per “allietare le notti insonni” del giovane allievo malato e racchiudono tutta la gioia, il ritmo, le fughe, con cui amorevolmente il compositore accompagna la malattia dell’allievo; l’obiettivo pone subito in luce il primo concept: sostenere l’inesorabile fine con gli artifici più ludici e leggeri, per combattere la morte con la vita.
La De Keermaeker incarna questo lungo viaggio a ritroso verso l’età dell’oro e l’adolescenza, la gioventù mai perduta: con due ore di ‘assolo’, accompagnata dal virtuoso pianista Pavel Kolesnikov, a coronamento di una ricorrenza speciale: i sessant’anni della danzatrice.
Una forza e un’intensità uniche nelle due ore di performance che racchiudono anni di studio sul corpo e sulla sua ‘musica’; un corpo che si trasforma in un perfetto strumento, un megafono, un amplificatore di suoni, ritmi, armonia, pausa, silenzio.
Meravigliosa nell’uso dello sguardo e nel movimento del capo, Anne Teresa lascia strabiliati, consegnandoci una “giovane monella” che impariamo a scoprire in scena. Irriverente e fulminea nei suoi passaggi dinamici come nel controllo del gesto preciso, lineare, poi spezzato, quasi bloccato, risulta una funambola che si diverte a saltare nel vuoto di una pausa e riprendere l’attrezzo in volo all’unisono con il pianoforte.
Un uso della musica ineccepibile, fondato sull’atto in “levare” e sul controtempo, ricco di piccoli particolari precisi e veloci, come di respiri o singulti, nell’andamento delle fughe, seguite da pause dove il corpo tace, ascolta, assorbe.
Nello spettacolo si sviluppano due linee temporali distinte: la prima racconta la storia dell’interprete fin dall’inizio della sua carriera; nel primo brano indossa un abito leggero, ma castigato, chiffon nero-trasparente (l’abito delle interpreti dei Concerti Brandeburghesi), semi-nuda e con un paio di culotte. Nel secondo tempo si presenta con un look anni Settanta, color oro, pantaloni a zampa fascianti e camicia in jersey chiusa con colletto largo. La camicia-strumento coreografico, viene slacciata, aperta, scivola, si destruttura come la figura della danzatrice che ironicamente riporta alcuni movimenti delle icone di quegli anni.
Nell’ultima parte, dopo un lungo momento di buio, dove la percezione della presenza in scena della De Keersmaeker avviene lentamente, quando gli occhi si adattano al buio, un luccichio di paillettes permette di veder riaffiorare un’immagine onirica che via via diventa persona, in pantaloncini argentati, scarpe da ginnastica, camicia in voile rossa che scivola morbidamente sul corpo nudo.
Ecco la seconda linea temporale: il pianista inizia il primo tempo in antitesi rispetto alla danzatrice, a piedi nudi in canottiera e pantaloncini, per arrivare a fine spettacolo in un elegante completo: giacca, camicia, pantaloni e scarpe lucide; una forma di “trasfusione” in scena, la giovinezza del pianista e stata fluidamente assorbita dalla nostra danzatrice, ritornata ragazza.
Una ragazza spensierata che ama la musica, libera da dogmi e convenzioni, libera dal ruolo di acclamata coreografa, si permette di rivelare la propria ironia, la giocosità e una sorta di ‘monella impertinenza’.
Le geometrie – care ad Anne Teresa – sono lasciate al palcoscenico e ai simboli disseminati sul palco. Disegni di cerchi che si intersecano formando una fantasia ellittica e un pentagono centrale, quasi metaforicamente a richiamare epoche della vita che si susseguono e si incontrano e definiscono un prima e un dopo rispetto agli incontri o agli amori o semplicemente, al passato.
Il pentagono fulcro del tutto, dove tutti i cerchi compongono un lato, è raggiunto solo alla fine, come un approdo, riconoscimento di un “io integrato”.
Gli elementi simbolici sono l’argento, il piombo-rame e l’oro. L’argento è in scena materializzato in un grande rettangolo sospeso, come uno schermo, ricoperto di carta argentata e illuminato da un faro laterale che riflette una luce soffusa. Come intermezzo tra i due tempi dello spettacolo, un tubo di piombo-rame viene fatto scorrere attraverso tutto il palco, dal fondale al proscenio, passando dall’interprete al pianista: una staffetta.
Nel secondo tempo, prima della “fase buia”, il rettangolo di luce lascia il pannello argentato per attraversare il palco, illuminando prima il palcoscenico con i disegni geometrici a gessetto, poi il pianoforte, per arrivare ad un nido di carta dorata accumulata in un angolo del proscenio per godere della luce riflessa nel buio circostante.
Cos’è “l’età dell’oro” di cui ci racconta De Keersmaeker? Il rimpianto di un corpo e di uno spirito giovane? Il racconto di ciò che è stato? O la libertà di svelare parti di sé ancora sommerse, innominabili? Il capriccio di stupire il pubblico con qualcosa di inedito, in nome della carriera, dell’auto-narrazione?
Che regalo meraviglioso, per un compleanno importante, si è fatta e ci ha fatto, questa grande interprete! Un assolo di due ore esposta, nuda, semplicemente se stessa, sotto lo sguardo del pubblico che da lei si attendeva solo rigore e disciplina: spogliata della veste ufficiale per donarci un viaggio denso di energia e di allegria e di pura vita.