Lo scontro eterno fra grettezza e utopia nel film di Isabel Coixet ‘La Casa dei Libri’

Lo scontro eterno fra grettezza e utopia nel film di Isabel Coixet ‘La Casa dei Libri’, dal romanzo ‘La libreria’ di Penelope Fitzgerald (ed. Sellerio)

@ Lucia Tempestini (04-10-2018)

Bill Nighy ed Emily Mortimer in ‘La Casa dei Libri’

Non basteranno a Florence Green cuore e pazienza, né le sarà sufficiente la qualità che un numero esiguo di esseri umani ha in comune con Dei e animali: il coraggio. Niente di tutto questo difenderà il suo smisurato amore per i libri e il sogno di aprire un bookshop in una cittadina del Suffolk dalla granitica ignoranza degli abitanti di Hardborough, per i quali la realtà basta e avanza, e soprattutto dalla leggiadrìa velenosa di Mrs. Violet Gamart (un’irresistibile Patricia Clarkson), dama manierata e suadente che progetta di fondare un Centro d’Arte (musica da camera d’estate e conferenze culturali in autunno) proprio nella dimora storica, abbandonata da anni e fatiscente, acquistata da Florence.

Costantemente dedita ad ammirare la propria immagine di influente mecenate dai nobili sentimenti ossequiata e temuta dagli amici e dal volgo, Mrs. Gamart si servirà di chiunque, dal fatuo giornalista della BBC incline al parassitismo ai banchieri, dagli avvocati (i manipolatori di professione mostrano spesso un inquietante trasporto per i legulei, forse per la comune attitudine ad alterare i fatti) agli ispettori scolastici, dai periti comunali al nipote parlamentare, per espropriare Florence e cacciarla da Hardborough.

Eppure la tenace resilienza di Florence (Emily Mortimer), nonostante la sconfitta finale, non sarà stata vana. L’apertura della libreria, quella breve felicità fatta di pagine stampate e profumo di carta, di idee, di parole, ha fatto nel frattempo affiorare nell’animo di alcune persone il desiderio di qualcosa di diverso dall’apparenza, l’informe bisogno di imparare a immaginare, quindi a vedere. Perché un libro ti porta via, conducendoti in un numero infinito di mondi, mondi che poi impari a ricreare incessantemente, sempre diversi a seconda delle età della vita. Le storie ti entrano nel sangue e proliferano in altre storie, in una narrazione senza fine.

Così un gruppo di bambini aspetta Florence per ore sotto la pioggia per aiutarla a montare gli scaffali, e la madre di Christine, una ragazzina che diventerà personaggio essenziale della vicenda, istintivamente accarezza e sposta i libri con la malinconia di chi non ha avuto accesso all’istruzione e ne prova una pena segreta.

Florence riesce persino a sciogliere la brina che ricopre il cuore amareggiato di Edmund Brundish, anziano bibliofilo talmente deluso dall’umanità da bruciare nel camino le copertine con le foto degli autori, preferendo rappresentarsi i libri come entità scaturite da fenomeni di partenogenesi. Vive recluso nella casa più antica di Hardborough, circondata da un parco rinsecchito, uscendo solo dopo il tramonto per passeggiare nelle strade deserte del villaggio. Ed è durante uno dei suoi giri serali che si accorge dell’insegna della libreria e comincia a inviare lettere misurate e incuriosite, quietamente ironiche, a Florence, diventando il suo primo cliente. La invita a non proporgli libri pretestuosamente complicati o di poesia, e si innamora perdutamente di Bradbury, divorando Fahrenheit 451 e The Martian Chronicles. La sua mente, ancora aperta alla novità, si rigenera leggendo Lolita di Nabokov. Nasce una vera, profonda amicizia con Florence, nutrita di stima e ammirazione, e venata di rimpianto per non aver conosciuto la donna in un’altra vita. La finissima interpretazione di Bill Nighy trova mille sfumature sommesse per disegnare un personaggio che difende la vulnerabilità di fondo con un pacato sarcasmo. Appare quasi divertito mentre commenta davanti a un plum cake ordinato appositamente per Florence le chiacchiere fiorite intorno alla sua presunta vedovanza. La versione più recente ricamata dalle signore di Hardborough è che la moglie sia annegata in una palude mentre andava a raccogliere delle more per cucinargli una torta. In realtà, sua moglie l’aveva semplicemente lasciato dopo sei mesi di matrimonio, e viveva felice e in piena salute a Londra.

I loro rari incontri nella brughiera mossa dal vento, in prossimità delle rocce e del mare, sono un omaggio alla solitudine orgogliosa e nello stesso tempo alla letteratura inglese dell’Ottocento. Persino quella delle orribili sorelle Brontë.

Solo nel tentativo di salvare la Old House Bookshop, Brundish abbandonerà il suo isolamento per parlare con Lady Violet e tentare di dissuaderla dal proseguire la persecuzione nei confronti di Florence.

Bill Nighy e Patricia Clarkson in ‘La Casa dei Libri’

La scena che mostra lo scontro fra Edmund e Mrs. Gamart nel salotto della Signora si esalta grazie a una stepitosa costruzione dialogica. Brundish oppone al té garbato e conformista di Violet, alle sue risposte ellittiche quanto insensibili, un’invettiva in cui a poco a poco sale il tono dell’indignazione contro un milieu di notabili sogghignanti abituati a misurare l’emozione in scellini e svilire la cultura affogandola in pettegolezzi da ballatoio, e di landed gentry, legata al potere politico londinese, per la quale l’epifania poetica si traduce in citazioni vuote di senso e di vita, occasioni mondane e parties dove ostentare la propria sfolgorante nullità. Come non ricordare Jourdain? Il Borghese gentiluomo di Molière, che si compiace di parlare in prosa e, innalzandosi nell’azzurro del cielo come un palloncino colorato, si sottrae lentamente, con lievi oscillazioni, alla nostra vista.

Edmund morirà prima di rientrare a casa, davanti al cancello, il cuore incrinato irreparabilmente non dallo sforzo ma dallo sdegno, dalla coscienza di una violazione dell’ordine naturale delle cose, di un’ingiustizia crudele e gratuita verso la passione, il merito, l’utopia possibile. Utopia che, a poco a poco, accende il cuore di Christine (Honor Kneafsey), l’aiutante bambina di Florence, poco amante dei libri all’inizio e con una predilezione per la geografia e la matematica. Il progredire della familiarità fra la libraia e la fanciulla, e fra il significato profondo dei libri e Christine, è una delle parti più intense del film. L’attenzione della regista Isabel Coixet ai gesti necessari della quotidianità (sistemare le cartoline, spolverare i libri, consigliare i clienti, rimettere in ordine, tenere il registro, preparare gli ordini da spedire per posta, confezionare i pacchetti legati con lo spago, accendere la vecchia stufa a kerosene per difendersi dall’umidità, scherzare in modo quasi infantile) tende a evidenziare come questi possano cambiare il mondo interiore, indicare vie nuove, percorsi inaspettati.

Christine, volitiva e ribelle, ristabilirà una sorta di giustizia dando fuoco alla Old House esattamente nel momento in cui Florence sarà costretta a lasciare la città. Se la Casa non potrà essere una libreria non diventerà neppure un futile Centro d’Arte. Da adulta realizzerà il sogno di Mrs. Green diventando lei stessa una libraia. Solitaria e orgogliosa.