‘Diplomazia’: l’arte dell’incontro che salva destini e civiltà in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano

Diplomazia: l’arte dell’incontro che salva destini e civiltà in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano

@ Amelia Natalia Bulboaca (31-10-2020)

Milano, 16 ottobre 2020 – Grande debutto al Teatro Elfo Puccini per Diplomazia, prima nazionale che apre l’attesissima stagione 2020/2021, Con le vostre mani. Lo spettacolo avrebbe dovuto andare in scena nel marzo scorso, qualche giorno dopo l’inizio della clausura forzata che ha avuto effetti devastanti su tutto il settore dello spettacolo dal vivo, annientando con un colpo di spugna molti teatri, molti orizzonti di senso e di umanità, molte speranze. Purtroppo, l’ultimo Dpcm in vigore dal 26 ottobre fino al 24 novembre 2020 ha sancito una nuova, inspiegabile e quanto mai infausta chiusura dei teatri, dei cinema e delle sale da concerto, interrompendone per la seconda volta le repliche che dovrebbero riprendere il 25 novembre e proseguire fino al 13 dicembre. Perdura dunque questa stagione di passione, questa odissea senza fine per il teatro e per la cultura in generale, ritenuta ormai palesemente sacrificabile come capro espiatorio dall’arbitrio della politica, quando non ignominiosamente umiliata e additata come attività non necessaria.

Tutto in una notte: questo pezzo di storia della liberazione di Parigi dall’occupazione nazista, frutto della trattativa diplomatica tra il generale Dietrich von Choltitz, governatore militare della capitale francese, e Raoul Nordling, Console generale di Svezia, è stata raccontata per la prima volta al cinema nel film Parigi brucia, firmato da René Clément nel 1966. Il testo che i registi Elio De Capitani e Francesco Frongia hanno qui allestito è di Cyril Gely: debuttato nel 2011 al Théâtre de la Madeleine, Diplomatie è stato poi portato sugli schermi nel 2014, aggiudicandosi il premio César 2015 per il miglior adattamento cinematografico e il premio come miglior sceneggiatura al Festival di Shanghai.

Il duello verbale e piscologico che vede ingaggiati i due protagonisti in una vera e propria maratona dell’eloquenza, ha come posta in gioco la salvezza di Parigi, che il generale von Choltitz avrebbe dovuto radere al suolo prima della ritirata tedesca, in ottemperanza agli ordini di Hitler. Dietrich von Choltitz (Elio De Capitani) e Raoul Nordling (Ferdinando Bruni) sono portatori di due istanze completamente opposte: la volontà di distruggere contrapposta alla volontà di salvare e di preservare. Entrambi pensano di agire però sul terreno della piena legittimità, ovvero quello dello jus ad bellum, nato da secoli di civiltà giuridico-formale, che in Europa aveva consentito di superare la guerra indiscriminata di stampo medievale, combattuta in nome di verità assolute da far trionfare su un nemico turpe e criminale (la justa causa belli). Una cornice regolamentata da precise norme di diritto internazionale aveva favorito il passaggio all’esercizio dei mezzi bellici non più contro un nemico empio ma contro un opponente giuridicamente riconosciuto (justis hostis). Senonché, il paradosso del progresso è quello di mettere a disposizione mezzi di annientamento sempre più sofisticati proprio quando si vuole edificare una civiltà che si lasci alle spalle le barbare lotte medievali – l’umanità, sentenziava Hegel, nel passaggio dal feudalesimo all’assolutismo, aveva bisogno di polvere da sparo, ed eccola apparire. Ed ecco che non c’è più niente di civile e di (giuridicamente) sensato nell’accanimento del generale tedesco contro Parigi e contro i francesi, «quei porci», che si accingeva a trucidare in massa. Il nemico è spogliato di qualsiasi dignità (sono porci) e dallo Jus Publicum Europaeum si ripiomba in un baleno nella più feroce legge del taglione veterotestamentario: i francesi vanno puniti indiscriminatamente per vendicare le città tedesche bombardate dagli Alleati e Parigi deve essere ridotta a un cumulo di macerie fumanti.

A questa ferocia si contrappone il potere della parola – imponderabile soffio che da solo può avere la meglio sui più raffinati mezzi di massacro, salvando milioni di vite. La parola può farsi veicolo di redenzione (come vuole il Vangelo), ma anche di sterminio: dipende da come la si adopera e con quali finalità. Ferdinando Bruni è impeccabile nei panni del raffinato diplomatico svedese che è mosso non solo dall’urgenza di contingenti motivazioni politiche (mediazione della neutralità, apertura di negoziati con Hitler, trattative per il cessate il fuoco e la liberazione dei prigionieri politici) ma anche da un suo personale legame con la città di Parigi, dov’è nato e alla quale si sente intimamente legato. Nordling/Bruni affascina con il suo valzer di parole, il portamento, l’abito candido, il sorriso, l’affabilità, l’arguzia, la fine ironia e le perfette maniere dell’uomo di mondo. Il diplomatico seduce con il potere incantatorio del verbo e della sua personalità magnetica; in apparenza così fragile nei suoi abiti civili è, in realtà, intimamente intransigente nelle motivazioni che lo fanno agire. La figura minacciosa di De Capitani/von Choltitz, straripante dall’uniforme da gerarca nazista con la pistola inutilmente puntata contro il suo pacifico visitatore, è di un uomo in crisi, dilaniato tra il dovere (obbedire agli ordini) e l’evidenza della follia di Hitler, che aveva potuto constatare di persona, anche se non aveva partecipato all’Operazione Valkiria – culminata nel fallito attentato al Führer del 20 luglio 1944. Il diplomatico riesce a far desistere il generale dalla decisione di distruggere la capitale francese, non tanto grazie a intricati ragionamenti politici e militari ma attingendo a un fondo comune di umanità (e di eredità umanistica) e conducendolo pian piano in uno spazio che anche i più acerrimi nemici potevano condividere: quello degli affetti più cari, della famiglia ma anche quello della bellezza, della cultura, della civiltà europea alla quali tutti (francesi, tedeschi, svedesi) appartenevano come figli legittimi. La dimensione etica è inscindibile da quella estetica e la Humanität non può e non deve essere affogata nel sangue di civili inermi e nelle macerie di monumenti, chiese, palazzi che hanno fatto la storia d’Europa. L’eloquenza di Bruni/Nordling tocca tutti questi punti essenziali ma ne tocca uno ancora più profondo e (forse) decisivo: nella concitazione delle circostanze date, il generale più volte sembra soffocare e soccombere alla malattia, ma il suo avversario che poco prima aveva tenuto a tiro di pistola, non esita un istante nel porgergli le medicine e salvargli la vita. La diplomazia è non perdere di vista la dignità dell’essere umano, anche quando si presenta nelle vesti del nemico; è sapersi orientare all’interno di orizzonti molto più ampi di quelli proiettati dai giochi di potere del momento. Diplomazia è scongiurare il capriccio personale che sin troppo facilmente può tradursi in immane dramma collettivo (basti pensare alla «banalità del male»). Diplomazia è saper osservare e saper ascoltare («Io l’ho osservata…» – dice Nordling a von Choltitz) per arrivare a praticare l’ineffabile arte dell’incontro da essere vivente a essere vivente.

Oltre alla bravura di Bruni e De Capitani che sono garanzia sufficiente per andare a vedere questo spettacolo, la messa in scena di Diplomazia è curata nei minimi dettagli come non capitava di vedere da tanto tempo: una generosa scenografia realistica e bellissimi costumi aggiungono certamente una forte dose di fascino a un testo che non tutti troveranno di facile lettura. Bravi anche gli altri attori che compaiono in scena: Michele Radice nel ruolo di Werner Ebernach, ufficiale del genio, Alessandro Savarese (Hans Brensdorf, sentinella) e Simon Waldvogel (Helmut Mayer, attendente di von Choltitz).

Con la speranza di rivedere presto i protagonisti di Diplomazia sul palcoscenico, ci auguriamo che i teatri, luoghi sacri dove si celebra da sempre la liturgia dell’incontro tra esseri umani, possano continuare ad accogliere, nutrire e sollevare quella cosa fragile e impalpabile che oggi, più che mai sentiamo annaspare nel buio calato troppo repentinamente: l’anima.

DIPLOMAZIA

di Cyril Gely

traduzione Monica Capuani

uno spettacolo di Elio De Capitani e Francesco Frongia

luci Michele Ceglia

suono Luca De Marinis

con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Michele Radice, Alessandro Savarese, Simon Waldvogel

produzione Teatro dell’Elfo, LAC Lugano Arte e Cultura e Teatro Stabile di Catania

prima nazionale