Fiabe, miti, mondi arcaici. ‘Colpi di scena’ 2020, il Festival del Teatro Ragazzi di Accademia Perduta (seconda parte)

Fiabe, miti, mondi arcaici. ‘Colpi di scena’ 2020, il Festival del Teatro Ragazzi di Accademia Perduta (seconda parte)

@ Amelia Natalia Bulboaca (12-10-2020)

Forlì – La Biennale del Teatro Ragazzi Colpi di scena 2020 (la rassegna si è svolta dal 22 al 25 settembre 2020 nei teatri di Forlì, Faenza, Bagnacavallo e Russi) è stata un’edizione ricca e intensa con 21 spettacoli, di cui 10 ‘prime assolute’; ha coinvolto tutti i Centri di Produzione Teatrali dell’Emilia-Romagna e ha ospitato tante compagnie (anche da fuori regione e dall’estero). Sotto la sapiente direzione di Claudio Casadio e Ruggero Sintoni, il festival che fino a poco tempo fa sembrava impossibile da realizzare nelle particolari circostanze che stiamo vivendo, si è dipanato invece sotto i migliori auspici, confermandosi come vetrina del Teatro Ragazzi dall’elevatissima qualità artistica. Parallelamente all’apertura normale delle scuole, cioè di una didattica ‘in presenza’, le porte del teatro si aprono così agli operatori ma soprattutto ai bambini e ai ragazzi a cui questi spettacoli sono indirizzati, per ribadire che il teatro dal vivo (l’espressione sarebbe pleonastica se non fosse stata già ventilata la distopica ipotesi di un Netflix della cultura) è ganglio vitale della vita collettiva e del patrimonio umano e tale deve rimanere.Senza teatro non si dà umanità, dunque, non si dà incontro, non si dà comunicazione, non si dà crescita. Il filo conduttore del festival sembra essere proprio quello dell’identità, declinata attraverso un lauto campionario di forme espressive spazianti tra: teatro di narrazione, di figura, d’ombra, teatro d’attore, pupazzi e oggetti, circo e danza contemporanee, musica dal vivo.

Teatro Il Piccolo, Forlì – L’usignolo dell’imperatore di Hans Christian Andersen è portato in scena da Pietro Piva, produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri. Un allegro e stralunato cantastorie racconta (quasi senza usare la parola) le disavventure dell’imperatore della Cina. Questi, mettendo in gabbia l’usignolo che ha il dovere di renderlo felice, rimane in realtà imprigionato nella sua stessa brama di possesso. È una fiaba classica che insegna la durissima lezione della rinuncia e della libertà, ovvero, della rinuncia che libera. La favola è costruita sul palcoscenico anche grazie a una miriade di oggetti che con la loro poetica semplicità alludono a realtà più complesse (bastano delle piume colorate per far volare la fantasia), in un’atmosfera piena di leggiadra magia. Poi c’è anche il grande uccello meccanico dorato, il balocco assai ingombrante che però con l’uso continuato si guasta, facendo ammalare il sovrano. Dopo un inizio molto promettente, che catalizza l’attenzione sulla figura dell’attore, lo spettacolo rischia via via di scivolare in sequenze più monotone, mentre il palcoscenico si riempie un po’ troppo caoticamente. Fortunatamente l’attenzione dei giovani spettatori è ravvivata da qualche passetto di buffo balletto. Tuttavia, abbiamo ravvisato in questa messinscena il rischio di perdere il filo e con esso il coinvolgimento di un pubblico che ha notoriamente un tempo di concentrazione alquanto ridotto a questa tenera età. Trattandosi di una prima nazionale, siamo confidenti che lo spettacolo potrà ancora dischiudere tutte le sue potenzialità espressive.

Teatro Masini, Faenza – Oz, di Fanny & Alexander, una produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri, Teatro delle Briciole, E Production, spettacolo teatrale che si vuole anche ‘game’ e reality-show, è tratto dai 14 libri di Frank L. Baum, scrittore conosciuto in Italia soprattutto per il suo romanzo più famoso, Il meraviglioso mago di Oz. All’entrata, gli spettatori sono muniti di un piccolo telecomando a pulsanti con il quale dovranno votare per determinare lo sviluppo delle varie vicende. L’idea che sta alla base di questo ibrida messinscena è certamente ambiziosa, proponendosi di far riflettere le giovani generazioni sulle implicazioni e le conseguenze della propria libertà di scelta. Premendo il bottone però si danno non più di due alternative, si segue la legge binaria del sì e del no, dunque ci si ritrova su un terreno abbastanza sdrucciolevole, quello di una libertà piuttosto illusoria (come accade anche nella vita reale?). In commercio ci sono già da anni libri interativi che dovrebbero consentire ai bambini di decidere il corso dell’azione e di interpretare ‘liberamente’ le storie. Nel fare ciò, si avvalgono di tecnologie digitali che stravolgono l’oggetto libro, in quella che ci sembra una spasmodica rincorsa all’ibridazione fine a se stessa che spesso si dimostra incapace di creare un vero e proprio linguaggio creativo. Questione di gusti? Anche. Lo spettacolo-game, a nostro avviso, fatica a trovare un vero e proprio filo conduttore mentre gli elementi drammaturgici e i linguaggi utilizzati sembrano messi insieme alla rinfusa delineando quella specie di «teatro sintetico» o «teatro ricco/teatro totale» del quale parlava Jerzy Grotowski:

Il Teatro Ricco nasce dalla cleptomania artistica, l’abilità di attingere da altre discipline, e di costruire spettacoli ibridi, congerie senza né spina dorsale né unità e presentati pur tuttavia come opere d’arte organiche. Riproducendo gli elementi assimilati, il Teatro Ricco cerca di sfuggire al vicolo cieco rappresentato dal cinema e dalla televisione[1].

Senza voler effettuare necessariamente una contrapposizione tra teatro ricco e teatro povero, questo allestimento ci sembra basato su un eclettismo che nuoce alla coerenza d’insieme del prodotto finale.

Teatro Sarti, Faenza – Nel ventre – Teatro dell’Argine propone uno spettacolo di e con Stefano Penzeri, tratto dall’omonimo romanzo di Sergio Claudio Perroni (Bompiani Editore). Un solo attore, dalla grande statura interpretativa, si fa corpo e voce delle figure del mito: Ulisse, Neottolemo (figlio di Achille), Epeo (artefice del cavallo) e ancora, di quei soldati sconosciuti, ammassati nell’esiziale dono-trappola, incastrati essi stessi tra le pieghe del mito e del destino. Ed è proprio attraverso il punto di vista di uno di questi militi ignoti che si dipana il racconto della micidiale attesa. Ci troviamo nell’ultimo capitolo di una lunghissima guerra, Troia sta per essere rasa al suolo, i compagni d’armi sono già salpati e hanno lasciato i guerrieri nel buio di quel ventre di legno, tra le spire del dubbio che spreme l’ardire anche dei più valenti: stanno per diventare eroi immortali oppure offerta sacrificale, «esperti della morte»?

Il testo recitato impeccabilmente da Panzeri ha tutta la forza trasfigurante della poesia. La scena è spoglia, salvo alcune grosse candele di ferro capovolte dalle quali fuoriesce la sabbia a marcare il tempo. Gli attimi scorrono via in maniera insensata, senza tregua, polverizzando destini, eroi, re, imperi, anime e corpi. Una piccola scultura arcaizzante del cavallo di Troia, una botola di legno che si apre nell’ultima scena dal forte impatto drammatico a segnare l’uscita dal ventre del cavallo e il compimento del fato, il chiaroscuro nel quale si staglia la potente figura dell’attore narratore, rendono questa messinscena un’esperienza indimenticabile. Lo spettacolo ha inoltre il pregio di essere concepito anche come progetto didattico all’interno degli spazi scolastici: include materiali introduttivi che aiutano gli studenti a comprendere i personaggi del mito e un dibattito aperto a fine rappresentazione per chiarire dubbi e curiosità.

Teatro Europa, Faenza – Metamorfosi è una messinscena che rappresenta il frutto del lavoro di 14 allievi attori, formatisi nel quadro del Progetto Attore Narratore per il Teatro Ragazzi, un corso realizzato da Accademia Perduta/Romagna Teatri e Demetra Fondazione in collaborazione con Associazione Culturale 5T, promosso da Legacoop Emilia-Romagna, con il patrocinio di Assitej Italia. Durante i mesi del lockdown il percorso formativo si è svolto online e, appena è stato possibile, in presenza, portando all’elaborazione di narrazioni individuali e collettive che, prendendo spunto dal testo di Ovidio, ha restituito al pubblico uno studio elegante e a tratti anche molto ironico nella resa dei vari passaggi. La prima parte dello spettacolo spicca anche per il bellissimo lavoro corale svolto sul corpo e sulla voce. Gli attori sono stati guidati da: Renata Molinari, Elisa Cuppini, Andrea Lugli e Liliana Letterese, Renzo Boldrini, Daniela Piccari, Mario Bianchi, Corrado Cristina, Silvia Colombini e di Roberto Anglisani.

Hanno partecipato al progetto di formazione: Andrea Acciai, Tomas Acosta, Roberto Agnelli, Giulio Bellotto, Federico Caiazzo, Sara Caspani, Daniele Chieppa, Edwige Ciranna, Giordano Deiana, Nicola D’Emidio, Mariangela Diana, Alice Guarente, Francesca Lepiane, Carlo Alberto Montori.

Teatro San Luigi, ForlìLa nostra maestra è un troll – Questa prima nazionale firmata da Sandro Mabellini, una coproduzione Fontemaggiore – Accademia Perduta/Romagna Teatri è uno spassosissimo e surreale carosello di gag, non privo di una certa punta di esilarante perfidia (inseparabile dalla simpatia) verso le disavventure dei due eroi. Alice e Teo sono due gemelli dall’indole esplosiva, quei tipici, inconfondibili elementi ‘turbolenti’ che tutti i docenti si trovano a dover gestire prima o poi nel corso delle loro carriere come parte di un imprescindibile e doloroso rito di passaggio. Dall’utopia del nobile ufficio dell’insegnante, chiamato a far fiorire la terra incolta delle giovani menti affidate alla sua cura, il malcapitato professore si ritrova trascinato brutalmente nella concretezza dell’aula/campo di battaglia che esige il sacrificio di una generosa porzione della propria salute mentale per sopravvivere alle angherie quotidiane dei pargoletti. Ad Alice e Teo basta accendere la miccia di un «perché?» ripetuto ad infinitum per far perdere velocemente la testa alla loro maestra che è costretta a licenziarsi dopo essere stata sorpresa a rotolarsi nel cortile della scuola. Sarà sostituita dal nuovo direttore, un troll che al primo «perché?» risponde molto semplicemente ingoiando il malcapitato e curioso bambino. Il troll istaura un regime di puro terrore da un giorno all’altro: gli alunni sono costretti a lavorare in una miniera d’oro e anche il corpo docente (assai maliziosamente compiaciuto in un primo momento del sadismo che il troll-dittatore applica sui pargoli) sarà sottoposto alle draconiane nonché strampalate regole del mostro. Nessuna possibilità di ribellarsi al suo arbitrio, a meno che non si voglia finire divorati senza troppi complimenti. I gemelli tentano invano di portare i gravissimi fatti all’attenzione delle varie figure che incarnano l’autorità nel mondo dei grandi: il preside, la madre, la polizia. Come in tutti i regimi dittatoriali, è impossibile far sentire la voce della ragione e allora, proprio quando i bambini stanno per rassegnarsi al proprio destino di morte, una felice intuizione di Teo capovolge la situazione: il micidiale «perché?», posto nel giusto modo e al momento giusto si rivela inaspettata àncora di salvezza.

Davvero bravissimi Edoardo Chiabolotti e Liliana Benini che riescono a strappare risate ininterrotte con il ritmo serrato delle battute. Uno spettacolo tutto sommato e paradossalmente più fruibile dagli insegnanti che potranno esorcizzare lo stress d’aula, senza adottare i metodi del troll, beninteso.

Teatro Testori, ForlìLa difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza è un lavoro che si è già aggiudicato importanti riconoscimenti: il Premio come Migliore Spettacolo 2020, il Premio della Stampa e il Premio Alessandro Fersen per la ricerca e l’innovazione. La giovane compagnia teatrale bergamasca Les Moustaches racconta una storia delicata e brutale costruendo un linguaggio scenico davvero efficace nella sua artigianale armonia. I riflettori si accendono su una tranche de vie di quei mondi periferici ancora legati a ritmi ancestrali imposti dall’alternarsi delle stagioni, dei raccolti e del ciclo di vita del bestiame, dove sin dalla nascita ci si ritrova incastrati in precisi ruoli comunitari dai quali appare inconcepibile affrancarsi, se non al costo di un misconoscimento e molto spesso anche dell’espulsione dal gruppo. Tre i personaggi: il padre padrone Sebastiano, il fratello Dennis, bullo solo in apparenza e Ciccio, l’unico membro della famiglia a dare senso concreto a quel cognome così evocativo: Speranza. Se il motivo del ragazzo che sogna di diventare ballerino può riportare alla mente Billy Elliot – con la sua possente fisicità trasfigurata in una danza conturbante con spargimento di farina, il corpo grosso straripante dal tutù rosa e senza smarrire un’innocenza di fondo, Ciccio si fa simbolo di tante istanze di libertà che ancora oggi sono sacrificate sull’altare della convenienza sociale, dell’ipocrisia e forse anche della stanchezza di un mondo, quello occidentale, del tutto sclerotizzato e incapace di rinnovamento, incapace di sognare.

Notevole il lavoro svolto sul corpo e sulla lingua: la fisicità dei tre attori: Francesco Giordano, Giacomo Bottoni, Antonio Orlando così diversi gli uni dagli altri, domina la scena con movenze perfettamente calibrate sui rispettivi personaggi mentre la lingua è un affascinante misto di dialetti più o meno inventati: napoletano, siciliano, umbro e qualche accenno di spagnolo. Uno spettacolo che testimonia l’altissimo livello artistico raggiunto dalle giovani compagnie che andrebbero sostenute con energia ed entusiasmo, soprattutto in questo periodo di grande difficoltà che rischia di veder scomparire tante fucine di creatività e di bellezza.

[1] Jerzy GROTOWSKI, Per un teatro povero, Bulzoni Editore, Roma, 2019, p.25.