Ecocidio e ‘intelligenza’ umana

Ecocidio e ‘intelligenza’ umana

@ Amedeo Ansaldi (06-04-2020)

Bufala in un allevamento campano

I rapporti fra l’uomo e gli animali sono oggi purtroppo caratterizzati da una carica di violenza fortissima (con l’eccezione degli animali domestici) e, quel ch’è peggio, istituzionalizzata. Vorrei esporre molto sinteticamente le ragioni di una scelta, quella vegetariana, condivisa da milioni di persone nel mondo, e dettata generalmente, in primo luogo,da motivazioni etiche, cioè il rispetto per ogni forma di vita senziente (con questo termine intendo ‘dotato di sensibilità, consapevole della propria esistenza’). Come dicevo, i rapporti fra uomo e animali sono spesso cruenti e correlati all’alimentazione (beninteso, umana); tratterò questo tema soprattutto nella seconda parte, con l’ausilio di citazioni da letterati e filosofi che hanno riflettuto sull’argomento e ne hanno scritto. Moltissimi artisti, intellettuali e uomini di cultura sono stati infatti vegetariani per motivazioni etiche fin dall’antichità; ricordiamo appena Pitagora, Empedocle, Plutarco, Epicuro, Seneca, tutti i grandi Dottori della Chiesa (S. Ambrogio, S. Girolamo, S. Agostino, San Gregorio Magno, nonché Tertulliano, San Benedetto e altri, ma sarebbe troppo lungo adesso aprire una parentesi su vegetarianismo cristiano) e ancora Leonardo da Vinci, Voltaire, Beniamino Franklin, Schopenauer, Wagner, Tolstoj, G. B. Shaw, Kafka, Einstein, il teologo e pastore Albert Schweitzer, la grande scrittrice belga Marguerite Yourcenar, ecc.

Il rispetto di cui parlavo sopra è quello che noi uomini generalmente neghiamo a 150 miliardi all’anno di creature senzienti uccise e martirizzate dall’uomo in vita e in morte; che neghiamo alla salvaguardia dell’ambiente nel quale viviamo; neghiamo al miliardo di persone (in prevalenza bambini) che soffrono (e spesso muoiono) di fame e di sete nel mondo, perché l’industria della carne sottrae loro vitali risorse alimentari e idriche; neghiamo, infine, alla nostra stessa salute (chi segue una dieta vegetariana equilibrata vive mediamente 5 anni in più del resto dell’umanità, e soprattutto meglio)…

Una delle obiezioni che più spesso vengono mosse ai vegetariani è, grosso modo, questa: “Con tutti i problemi che l’umanità deve affrontare, possibile che dobbiamo occuparci anche del benessere degli animali?” Se non che, oltre a quelle etiche, delle quali parlerò dopo, ci sono altre ragioni che dovrebbero suggerirci di diventare tutti vegetariani.

Intanto, una semplice occhiata allo specchio basterebbe a convincerci che la nostra struttura anatomica non è quella di un onnivoro: come potremmo cacciare a mani nude? Gli esseri umani, senza mezzi artificiali – armi quali frecce e lance – difficilmente sarebbero stati in grado di dedicarsi all’attività venatoria. Questa elementare nozione si riflette anche in una riflessione tratta da Plutarco:

Se sei convinto di essere naturalmente predisposto a mangiar carne, prova anzitutto a uccidere tu stesso l’animale che vuoi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona, con le tue mani, senza ricorrere a un coltello o a un bastone o a una scure. Fa’ come i lupi, gli orsi e i leoni, che ammazzano da sé quanto mangiano.

L’uomo si è adattato a consumare carne (in principio probabilmente carogne trovate sul terreno) per necessità inderogabili dettate dalla inospitalità degli ambienti e dall’inclemenza dei climi nei quali si trovava a vivere: i progenitori dell’uomo si sono convertiti a un’alimentazione onnivora per ragioni di necessità assoluta. Senza questo – provvidenziale – adattamento, l’uomo non sarebbe sopravvissuto. Noi, come tante altre specie, siamo stati tanto cacciatori che prede. Ce lo ricorda per es. questo aforisma di Friedrich Nietzsche: Abbiamo dimenticato gli animali feroci: vi sono stati millenni durante i quali gli uomini pensarono ad essi nella veglia e nel sonno.

L’uomo ha però poi mantenuto anche più tardi, a emergenza rientrata, quelle abitudini alimentari innaturali che aveva forzatamente contratto.

Consideriamo che tutti i Primati, l’ordine dei mammiferi a cui apparteniamo, sono frugivori, ovvero mangiatori di semi, frutti e radici con assunzioni sporadiche di foglie verdi e, al limite, di insetti.  Niente suggerisce che l’uomo faccia eccezione. È dotato di mandibole mobili lateralmente, tipiche del frantumatore di frutta e di semi, laddove nei carnivori le mandibole sono fisse, adatte a strappare a brani le carni alle vittime.

Un’alimentazione ricca di grassi animali è anche la principale responsabile al giorno d’oggi della diffusione endemica di malattie gravi come quelle cardiovascolari e oncologiche, nonché il diabete, come conferma anche un inascoltato rapporto del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro.

Dieta carnea e intelligenza.

Molti ritengono che la conversione a una alimentazione carnea abbia avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’intelligenza umana. Anche se le cose stessero in questo modo, resterebbe pur sempre da dimostrare che l’intelligenza umana sia un fenomeno davvero auspicabile. Non è un caso che l’unica specie che pone a rischio la sopravvivenza stessa del nostro pianeta sia quella che ha sviluppato in misura enormemente superiore alle altre questa ambigua e temibile facoltà. Jean Rostand, grande biologo e aforista francese, a questo proposito parlava di ‘ipertrofia dell’intelligenza’, come una forma di disturbo. Altrove definiva l‘’accidente umano’ un’anomalia biologica. E, nel suo rifiuto intransigente di qualsiasi antropocentrismo escatologico (cioè di vedere nell’uomo il fine ultimo della Creazione), sosteneva che niente aveva previsto, niente aveva voluto il tardo e anfrattuoso cervello dell’Homo sapiens e che il pensiero umano, questa specie d’intruso, non abbia maggiore importanza, nel cosmo inerte, del canto delle raganelle… L’intelligenza finisce per isolare l’uomo dal resto del creato; per costringerlo in un proprio universo ineffabilmente e puntualmente autoreferenziale. Credo che se proprio non possiamo rinunciarvi (alla nostra intelligenza), dovremmo averne almeno abbastanza da capire l’uso nefasto che se ne può fare.

Il filosofo e matematico Bertrand Russell scrisse brillantemente:

La vita organica, ci dicono, si è evoluta gradualmente dal protozoo al filosofo, e questa evoluzione, ci assicurano, rappresenta senza dubbio un progresso. Disgraziatamente chi ce lo assicura è il filosofo, non il protozoo.

Ci siamo mai chiesti come ci vedano loro – gli animali?

Un interrogativo al quale hanno provato a rispondere, fra gli altri, Friedrich Nietzsche:

Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perso in modo estremamente pericoloso il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l’animale delirante, l’animale che ride, l’animale che piange, l’animale infelice,

e Milan Kundera:

L’umanità sfrutta le mucche come il verme solitario sfrutta l’uomo: si è attaccata alle loro mammelle come una sanguisuga. L’uomo è un parassita della mucca; questa è probabilmente la definizione che un non-umano darebbe dell’uomo nella sua zoologia.

Un altro aspetto che dovremmo considerare è che esiste anche una correlazione provata fra alimentazione carnea e mutamenti climatici, riscaldamento globale, ecc. – correlazione denunciata da un rapporto ufficiale della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, in cui si dice chiaramente che il bestiame genera il 18% dei gas serra che soffocano il pianeta, più ancora di quello prodotto dai mezzi di trasporto. L’autorevole economista Jeremy Rifkin, autore del noto saggio Ecocidio, sostiene da anni che la sopravvivenza del nostro pianeta e il superamento della tragedia, di proporzioni bibliche, della fame e della sete nel mondo, non possano prescindere da una conversione globale all’alimentazione vegetariana, tenuto anche conto del fatto che, per es., un terreno coltivato a legumi ha una resa alimentare 18 volte superiore a quella che avrebbe la stessa area se destinata all’allevamento intensivo, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di diseguaglianza nella distribuzione delle risorse fra gli uomini. Già oggi quasi un miliardo di persone non ha letteralmente di che riempire il piatto e non ha accesso a fonti di acqua potabile. Rifkin si chiede perché di fronte a queste cifre le istituzioni mondiali, che pure sono consapevoli del fenomeno, reagiscano così tiepidamente. Non è probabilmente estranea a questo atteggiamento un po’ reticente la circostanza – risponde a sé stesso – che la zootecnia sia il settore in più rapido sviluppo dell’agricoltura mondiale e fornisca occupazione a 1,3 miliardi persone. Appare quindi evidente quali colossali interessi si muovano dietro l’industria della carne, e quante difficoltà – non solo tecniche e logistiche, peraltro, ma anche culturali e politiche – presenterebbe una sua riconversione. La gente nell’Occidente industrializzato è ormai sempre più abituata a mangiare carne e il suo ripudio esplicito costerebbe troppo anche in termini elettorali. E comunque nessuna classe dirigente può permettersi di rinunciare al consenso delle masse su questo punto. Anche a rischio, purtroppo, di un’incombente catastrofe ecologica, della quale la tropicalizzazione del clima e i sempre più frequenti uragani sono una timida avvisaglia.

Vorrei proporre qualche aforisma che pone in rilievo le contraddizioni e le ipocrisie che contraddistinguono i rapporti dell’uomo nei confronti degli (altri) animali:

L’uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso. Li animali l’hanno piccolo, ma è utile e vero. (Leonardo da Vinci)

Una sciocchezza fortemente radicata nei filosofastri di oggi è che essi danno per certo che gli animali non hanno un Io, mentre loro, evidentemente, ne avrebbero uno. (Arthur Schopenhauer)

L’uomo è l’unico animale che arrossisce, ma è anche l’unico ad aver ragione di farlo. (Mark Twain)

Parliamo di sport quando un uomo vuole uccidere una tigre; parliamo di ferocia quando una tigre vuole uccidere un uomo. (G. B. Shaw)

L’etimologia in disaccordo con la logica. Chiamiamo animali gli esseri viventi ai quali neghiamo la proprietà di un’anima. (Francesco Burdin)

La pubblicità gioca su due versanti che coltiva con uguale cura: l’infantilismo e il cinismo. Il pollo X, il manzo Y, il pesce Z vengono effigiati in modo simpaticamente caricaturale come tipi allegri e soddisfatti, i quali rivolgendosi al consumatore tenoreggiano: “Come sono buono da mangiare, comprami con fiducia, diventeremo amici!” (Francesco Burdin)

Chiedi agli sperimentatori perché fanno esperimenti sugli animali e ti risponderanno: “Perché gli animali sono come noi”. Chiedi agli sperimentatori perché sia moralmente accettabile fare esperimenti sugli animali, e la risposta sarà: “Perché gli animali non sono come noi”. (Charles Magel)

Riconosci nell’animale un soggetto, non un oggetto? Allora sii coerente, non domandare ‘che cosa’ mangiamo oggi, ma ‘chi’ mangiamo oggi.
(Charlotte Probst)

Dicono di avere abolito i sacrifici animali! Soltanto il rito hanno abolito: li sterminano ininterrottamente, illimitatamente, senza bisogno: il sacerdote si è fatto industria. (Guido Ceronetti)

C’è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull’anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce. (Ceronetti)

La gente mangia carne e pensa: “Diventerò forte come un bue”. Dimenticando che il bue mangia erba. (Pino Caruso)

Non c’è animale più stupido della marmotta – disse l’etologo – sta ferma ore e ore a contemplare il sole. Non c’è animale più stupido dell’etologo – disse la marmotta – sta fermo ore e ore a contemplare me. (Enzo Costa)

L’oca è l’animale ritenuto simbolo della stupidità, a causa certamente delle sciocchezze che gli uomini hanno scritto con le sue penne.
(Anonimo)

Jean Rostand scriveva con grande lucidità: Se i pitecantropi, questi quasi umani, fossero arrivati fino a noi; se, invece di essere costretti a immaginarli su alcuni resti, noi li vedessimo vivere al nostro fianco, quale non sarebbe la risonanza sulla stima che abbiamo della nostra specie? Ci vanteremmo ancora, sotto il loro sguardo equivoco, di una essenza privilegiata? Oseremmo rinnegare questi indesiderabili progenitori e sacrificarli, come facciamo con le altre bestie, alle necessità della scienza? L’estinzione del pitecantropo, salvando il nostro orgoglio, ci ha risparmiato anche alcuni scrupoli.

Concludo questo intermezzo con Emil Cioran che sottolinea l’affetto che ci può legare a un animale al di là dei confini delle rispettive specie di appartenenza:

Nessuno, che non l’abbia provato, può immaginare il conforto che vi dà un animale quando viene a tenervi compagnia, se gli dèi vi hanno voltato le spalle.

Quello che distingue l’uomo dagli altri animali è, ovviamente, un diverso grado di sviluppo dell’intelligenza; ma non la capacità di soffrire. Se sottoposti ad aggressioni, sevizie, torture, ecc. gli animali reagiscono esattamente come noi: con la paura, con la fuga, con lamenti. Non c’è nessun motivo per cui noi dobbiamo limitare agli uomini il nostro senso morale al quale ripugna la violenza usata contro inermi; per cui non dobbiamo estendere agli animali la naturale compassione che proviamo di fronte al dolore altrui.

Non sono pochi gli autori che hanno mostrato nei loro scritti compassione nei confronti di miliardi di esseri senzienti avviati a un destino tanto ingrato.

La resistenza opposta dagli animali alla cattura è del tutto inerente alla lotta per il riconoscimento del diritto fondamentale: quello di continuare a esistere. L’animale che resiste alla cattura manifesta il suo desiderio di vivere, di non essere imprigionato, tormentato, ferito, rinchiuso, legato o ucciso. Tutti gli esseri che lottano, con i mezzi che hanno a loro disposizione, esprimono di fatto la volontà che venga loro riconosciuto il diritto di vivere. (Florence Burgat)

Questa umanità che si considera figlia di Dio, divina e portata a dominare la terra, in realtà la sta sconvolgendo e non tiene conto degli altri ospiti che sono su questo pianeta, o ne tiene conto soltanto per farsene delle pellicce, per utilizzarli come cibo, per sfruttarli nel lavoro. È la più grossa impresa di schiavitù che la storia ricordi. (Ennio Flaiano)

L’allevamento industriale, col suo commercio mondiale, è una planetaria camera di tortura: i lunghi viaggi strazianti per mare e ferrovia, le isterectomie per mettere i feti nelle incubatrici, le continue iniezioni, le fecondazioni artificiali, le nutrizioni intensive, impregnate di orrore chimico, nel buio e nella semiparalisi, per fare lombi più grassi e carni più anemiche, i terrori, le catene, le mutilazioni, ne sono i principali strumenti. L’allevamento all’aria aperta è quasi scomparso, e l’animale nasce e muore in una prigione perpetua. (Guido Ceronetti)

Negli allevamenti intensivi calcolano quanto possono tenere gli animali vicino alla morte senza ucciderli. È questo il loro modello di business. A che velocità possono farli crescere, quanto possono pigiarli, quanto o quanto poco possono mangiare, quanto possono ammalarsi senza morire.
(Jonathan Safran Foer)

Quando mangiamo carne prodotta negli allevamenti industriali viviamo, letteralmente, di corpi torturati. Sempre più, quel corpo torturato sta diventando il nostro. (Jonathan Safran Foer)

Dal punto di vista etico è straziante pensare a quali sofferenze sono sottoposti questi animali, vere macchine da carne, allevati per ingrassare e riprodursi rapidamente in condizioni di sovraffollamento, per soddisfare la gola dell’animale uomo che si crede padrone di tutte le altre specie, quando invece è possibilissimo vivere senza carne. (Margherita Hack, che, figlia di genitori vegetariani, non ha mai mangiato un pezzo di carne in vita sua)

La maggior parte degli animali negli allevamenti industriali, miliardi di animali, soffre ogni singolo minuto della propria esistenza. Sono fisicamente malati, minati da malattie croniche e debilitanti. Sono annientati psicologicamente, oppressi dal sommarsi di disorientamento e depressione. Visti da lontano, possono sembrare gli animali che abbiamo visto nelle figure dei libri della nostra infanzia. Visti dall’interno, nel loro presente, non sono altro che ombre tragiche e patetiche dei loro forti antenati. (Tom Regan)

Come può un uomo dormire la notte sapendo che in quelle nude prigioni si trovano sotto la sua custodia tante creature che vivono solo per morire, che possono girarsi o distendersi a fatica, terrorizzate ogni volta che la porta si apre, mordendosi, litigando e impazzendo? (Matthew Scully)
Maiali costretti in stambugi senza luce. Galline chiuse notte e giorno nell’incubatrice. Oche inchiodate con le zampe al pavimento. Vitelli che passano dalla prigione al macello senza aver mai visto un prato. Gli ultimi animali, superstiti di una moltitudine che riempiva festosamente la terra, sono ridotti a un’eterna notte. (Francesco Burdin)

Cani destinati alla macellazione in Cina

Quali prospettive possiamo immaginare per il futuro?

Il professor Umberto Veronesi ha scritto: Non ho dubbi che nel medio periodo la causa dei diritti degli animali sarà vincente perché è un’evoluzione naturale della civiltà. Spero di sbagliarmi, ma secondo me il suo è un ottimismo corrivo e sostanzialmente infondato; senza entrare in considerazioni politiche che devono restare rigorosamente escluse da questo discorso, tanto più lo penso dopo le vittorie alle elezioni americane e brasiliane di Trump, che nega l’esistenza stessa del riscaldamento globale e di Bolsonaro, che intende anzi intensificare lo sfruttamento dell’Amazzonia (ricordiamo che già adesso una porzione di Amazzonia vasta quanto l’Austria viene distrutta ogni anno per far posto ai pascoli). Possiamo sperare che le prossime generazioni – se ci saranno – si dimostrino più sagge di quelle che le hanno precedute?

Questo potrà dirlo il futuro. Sarebbe necessaria una rivoluzione, perché il vegetarianismo è una rivoluzione. Se non che temo che gli uomini sappiano fare rivoluzioni solo nelle piazze e nelle strade, rivoluzioni incentrate su sé stessi, irrimediabilmente autoreferenziali, piene di strepito e di urla, che il più delle volte cambiano poco o nulla, e siano invece incapaci di attuare una rivoluzione silenziosa, discreta, pacifica, a tavola, che cambierebbe tutto.

Non lo faccio mai, anche perché mi sembra poco elegante auto-citarsi; questa volta concludo il discorso con un mio aforisma, incluso nella raccolta che ho pubblicato nel 2014, perché tengo molto all’argomento, e anche per metterci la faccia (l’ho ritrovato anche su un paio di siti animalisti):

Gli uomini non sono animati da odio nei confronti degli altri esseri viventi, altrimenti non mostrerebbero tanto sprezzo per le loro vite e indifferenza sovrana verso le sofferenze e torture che infliggono loro ogni giorno. Si può allevare un animale all’unico scopo di mangiarselo, spellarlo o farne un’infelice cavia da laboratorio, lo si può sottoporre a cuor leggero ad ogni sorta di raccapriccianti abomini – soltanto a patto di non odiarlo.

L’odio ha, almeno, un limite. La malvagità dell’uomo nei confronti degli animali non conosce confini; non arretra dinanzi a nessuna infamia.