Diario dell’anno della peste (4). Insegnare ai tempi del coronavirus

Diario dell’anno della peste (4). Insegnare ai tempi del coronavirus

@ Loredana Pitino (17-03-2020)

 

Un giorno di marzo del 2020 gli insegnanti si sono trovati senza i loro studenti. Scuole chiuse. Un mostro sconosciuto e invadente richiede prudenza e interruzione di tutti i contatti, di tutti gli spostamenti. Senza i marmocchi, senza gli adolescenti col loro carico di ormoni e brufoli, l’insegnante è come svuotata della sua funzione; è sola; quella notizia, quel divieto è come un macigno. E adesso? Come li raggiungiamo i nostri ragazzi?

Così ci siamo subito attivati. La tecnologia ci è venuta in soccorso. Le scuole che si sono fatte trovare pronte hanno attivato immediatamente piattaforme ufficiali, messe a disposizione dal Ministero. Altre scuole hanno lasciato ai docenti la scelta delle modalità da seguire. Ma tutti gli insegnanti, subito, con i mezzi a disposizione (chat, piattaforme, social….), hanno creato delle classi virtuali perché la parola d’ordine è stata “interagire con gli studenti”, non lasciarli soli.

La difficoltà di questo momento storico, lo smarrimento di tutti, la paura vera e propria, ci stanno riempiendo d’angoscia. Ma l’insegnante ha una missione, deve avere una forza in più, deve essere, e ancora lo è, il punto di riferimento dei giovani, ancora più smarriti, più spaventati e spaesati degli adulti.

Così ci siamo tutti attrezzati, inventando modalità nuove per fare lezione, registrando video-lezioni, costruendo powerpoint, cercando materiale nell’infinito mare di internet. Abbiamo avviato un corso di formazione continuo, basato sulla ricerca-azione e abbiamo istruito i nostri allievi. A dire il vero, sono spesso loro, i nativi digitali, che istruiscono noi quando ci blocchiamo di fronte a un file che non parte, a una presentazione che non si vede, a un link che non si può condividere…. Così, spesso, il rapporto si ribalta.

Il cellulare, il tanto denigrato cellulare, per il quale ci siamo disperati fino a qualche giorno fa – abbiamo fatto le note, li abbiamo sequestrati in classe perché gli studenti copiavano, perché giocavano sotto il banco, perché mandavano messaggi – adesso, quel cellulare è indispensabile. Non tutti hanno un computer disponibile, spesso in famiglia ci sono più ragazzi, e allora lo strumento a disposizione è lo smartphone. In questi giorni così difficili, il contatto umano passa dagli schermi, più o meno piccoli; internet è la nostra via di fuga, informazione, intrattenimento, di didattica. La didattica a distanza. Sembrerebbe un ossimoro, ma non lo è. Non lo è perché si può insegnare comunque, si può in-segnare anche così.

E la mattina, invece di far suonare la campana, entriamo nella classroom virtuale, chiamiamo l’appello e avviamo la videochiamata. Entriamo nelle loro case, nelle loro camerette, li vediamo in vestaglia, coi pigiamini e la tazza del latte vicino al pc, qualcuno sonnecchia, qualcuno perde la connessione… E loro entrano nelle nostre case, ci vedono nella nostra reale essenza, nei nostri salotti o studi, senza il rigore della classe, senza la cattedra, senza la lavagna e il temibile registro, più umani, più vicini a loro.

Ci cercano, subito, desiderosi di sapere cosa faremo oggi, si concentrano con le cuffie per sentirci meglio.

Mi è capitato di sentirmi dire da un alunno, a fine lezione, “no Prof. Non se ne vada, restiamo collegati”, o anche, semplicemente, “Prof. Mi manca”.

I più grandi fanno i duri, ridacchiano, magari si sottraggono alla lezione e dicono che non hanno la connessione; poi si aprono, raccontano, fanno l’esercizio, ascoltano la lezione….

Certo non è la stessa cosa.

Non si sente la loro caciara in classe, non si sente il loro odore di adolescenza, non si vedono i corridoi invasi durante la ricreazione. Non si toccano i loro quaderni e le loro mani. Ma. Ma si vedono il loro occhi smarriti, i loro sguardi che cercano sullo schermo un contatto e una risposta.

Anche questa è una sfida, la sfida più difficile e alla quale non eravamo preparati. Possiamo usare la creatività un po’ di più, possiamo far vedere un brano di un film o un’opera teatrale, far sentire la voce di Pirandello o Ungaretti, animare le lezioni di scienze, spiegare la storia con una serie tv.

Per adesso, finché dura l’emergenza. E aspettare con ansia il momento in cui tornerà a suonare la campana e a correre in classe per entrare in orario. Perché la scuola, vera, è un’altra cosa.