Diario dell’anno della peste (2)

Diario dell’anno della peste (2)

@ Marco D’Alessio (15-03-2020)

 

 

In un paese ormai immobilizzato, la perdita improvvisa delle proprie abitudini quotidiane significa perdere la bussola, il controllo del tempo. Ma la necessità – causata da un virus mai conosciuto prima da cui sembra che ci possa difendere solo l’isolamento – di procedere all’improvvisa chiusura dei luoghi di culto, degli spazi culturali come biblioteche, cinema e teatri (chi aiuterà questi ultimi, ormai privati dei loro proventi?), ma anche la chiusura dei luoghi di formazione e di insegnamento, comporta delle riflessioni. Se per cinema e teatro l’unico obiettivo che dovremmo porci è di tornare a frequentarli prima possibile e assiduamente per sostenerli – ma soprattutto per alimentarci della bellezza che nutre le anime e da cui trarre insegnamento – riguardo alla scuola e all’università mai come adesso, nell’occhio del ciclone dell’emergenza sanitaria, assistiamo a un radicale mutamento strutturale. Basta dare un’occhiata in rete per vedere come i siti degli istituti scolastici d’ogni grado pullulino di soluzioni alternative per la teledidattica a distanza. La mia stessa università si è ritrovata a dover affrontare il problema della continuità didattica attraverso una piattaforma di insegnamento a distanza. Io, abituato ormai da moltissimi anni a un contatto umano, a sguardi, gesti durante i momenti di apprendimento, mi sono ritrovato per causa di forza maggiore a dover seguire il corso attraverso uno schermo. Cosa che, seppur mi permette di osservare la scansione delle tempistiche dei miei studi e di conservare una ritualità nella gestione del tempo, ha comportato, nella nuova condizione di smart-student, la perdita di quella interazione umana che reputo fondamentale nel processo formativo dell’individuo. Il linguaggio del corpo è essenziale sia per chi apprende che per chi insegna. Uno sguardo fiero, gli occhi meravigliati del docente sono importanti per l’allievo, aiutano a focalizzare i concetti o i fenomeni che si stanno imparando. Attraverso uno schermo si perde ogni forma di emozione, il sorriso che scaturisce di fronte a una domanda, la battuta per fissare un concetto. Questo è lo smart-working a cui dovremmo aspirare? Per carità ben venga una tecnologia del genere in un momento di necessità come questo, ma che sia solo una misura provvisoria! Non ci tengo a vivere in una condizione di isolamento, in fondo imparare è condividere esperienze e riflessioni con gli altri, è una compartecipazione emozionale.

Restando in tema di università mi sembra doverosa una riflessione sul problema della ricerca, quel settore che il nostro stato (s minuscola) senza molti patemi ha oltraggiato nel corso degli anni con continui e strutturali tagli di fondi che hanno prodotto una drastica riduzione di borse di ricerca e posizioni strutturate nei vari comparti. Questa politica scellerata, confidando all’infinito in una quiete apparente, non ha fatto i conti con l’imprevisto, l’urgenza, cioè il momento in cui servono ancor più forze e menti brillanti per cooperare insieme e trovare soluzioni alle emergenze drammatiche che si possono presentare nel corso del tempo. Ma ciò non deve trarci in inganno, la ricerca non serve solo a risolvere necessità improvvise, deve anzi essere concepita come l’arte della semina, un fenomeno lento e pieno di cure in cui il costante lavoro porta a innovazioni da cui trae giovamento tutta la società. Attraverso la ricerca si accende il motore di una comunità umana, si alimenta il futuro, si pongono sfide con obiettivi da superare.

Michele Barbaro, illustrazione per Il Castello di F. Kafka

Proprio nell’ambito delle scelte inique basate sulla gestione di un eterno presente da amministratori di condominio e totalmente cieche e sorde ai pur numerosi campanelli d’allarme squillati nel corso degli anni, troviamo la famigerata spending review che avrebbe dovuto eliminare gli sprechi nella pubblica amministrazione, cosa in sé legittima e persino auspicabile. Peccato che invece, di governo in governo, l’ascia si sia abbattuta sui posti letto e sul personale ospedaliero in cronica carenza. Se già nella routine quotidiana appariva problematico far fronte all’ordinaria gestione di una struttura sanitaria, oggi in un momento di crisi acuta dovuto all’epidemia di covid-19 è inevitabile che imploda fino al tracollo un sistema sanitario nazionale corroso da tagli su tagli sedimentati nel corso degli anni. Colpi mortali che hanno indebolito l’intero sistema, spingendo addirittura alla chiusura alcune realtà del sud Italia, per non parlare dell’organico medico-sanitario in carenza cronica.

Oggi sicuramente non è il tempo di bilanci, ma dopo bisognerà seriamente ripensare alle politiche dei tagli che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, ripensare alla tecnologia che va percepita sì come un supporto, ma mai come un mezzo sostitutivo dell’apprendimento, delle relazioni e delle emozioni umane che necessitano di contatto fisico con l’altro.