Il metateatro in una scatola cinese. ‘I giganti della montagna’, regia di Gabriele Lavia, al Bellini di Catania

Il metateatro in una scatola cinese. ‘I giganti della montagna’, regia di Gabriele Lavia, al Bellini di Catania

@ Loredana Pitino (14-02-2020)

Catania L’arsenale delle apparizioni si è acceso al teatro Bellini di Catania per il Cartellone del Teatro Stabile 2019/20, nella splendida cornice del teatro lirico che, questa volta, ha prestato il suo palcoscenico alla prosa.

I giganti della montagna, di Luigi Pirandello con la regia di Gabriele Lavia, una produzione Teatro della Toscana, ha regalato al pubblico catanese uno spettacolo corale, totale, di suggestiva potenza, in una dimensione “Al limite tra la realtà e la favola”.

Questa la didascalia con la quale Pirandello introduce la prima scena e illustra l’ambientazione della sua opera-testamento: Al limite tra realtà e favola.

Nella villa della Scalogna abitano gli Scalognati, esseri surreali che hanno scelto di vivere in una dimensione altra per sfuggire ad una società ormai insostenibile. Tutti questi “dimissionari della vita”, si dedicano a pratiche magiche ed estetiche di tipo surrealistico, facendo riemergere il mondo dell’inconscio (sappiamo che Pirandello non aveva letto Freud, ma il medico psicologo André Binet sì).

Dall’altra parte vivono i Giganti della montagna, insensibili all’arte e dediti solo alla guerra, agli affari e a ciclopiche costruzioni (dietro ai quali molti studiosi hanno ravvisato una critica al fascismo di un Pirandello maturo e disilluso). Qui arriva la Compagnia della Contessa, composta da un gruppo di teatranti e dalla stessa Contessa Ilse.

In questa villa, con gli incantesimi del mago Cotrone, Pirandello inserisce tutto quello che aveva portato nel suo teatro, “I sogni, la musica, la preghiera, l’amore… tutto l’infinito ch’è negli uomini”, e Gabriele Lavia ha regalato a questa messa in scena sogni, musica, preghiera, amore, colori, luci, melodie, lacrime.

Ambientata al confine tra la favola e la realtà, quest’ultima opera del drammaturgo siciliano è considerata il testamento teatrale dell’autore, che morì lasciandola interrotta. Sappiamo che il finale venne aggiunto dal figlio Stefano che si basò sugli appunti e il bozzetto del padre, ma Lavia ha compiuto una scelta simbolica precisa, facendo calare il sipario nel punto esatto in cui finiva la scrittura di Pirandello, lasciando aperta l’opera ad ogni possibile interpretazione – così come il drammaturgo ci aveva insegnato coi suoi romanzi – sull’arrivo dei Giganti che incombono, non visti, con il rumore di una cavalcata furiosa, simbolo di esercizio della forza, su tutti i personaggi e sullo stesso pubblico sorpreso e stordito.

La scelta del palcoscenico del Teatro Bellini è stata necessaria perché questo è uno spettacolo davvero gigantesco; qui il metateatro entra in un altro teatro, in un’altra scena…in un gioco di scatole cinesi ad effetto domino.

La scenografia iniziale riproduce lo scheletro di un teatro in rovina, un teatro dall’architettura settecentesca, austero e solenne che, però, cade a pezzi; le colonnine e gli stucchi scrostati, i velluti strappati e sbiaditi, le luci spente, colori spettrali. A sipario aperto, il magnifico Teatro Massimo Bellini di Catania sembrava guardarsi allo specchio e proiettarsi nella grandiosa atmosfera onirica ricostruita per questo spettacolo. La fantasmagoria dei personaggi, nella doppia cornice narrativa degli abitanti della villa che si muovono intorno al mago Cotrone e degli attori della compagnia della Contessa, è resa per mezzo della cura minuziosa dei costumi e degli accorgimenti scenici. Una suggestiva atmosfera felliniana travolge il pubblico con melodie – di Antonio Di Pofi – che ricordano quelle di Nino Rota, costumi (di Andrea Viotti) circensi per i colori e le maschere, sia degli Scalognati che dei Fantocci del secondo atto, la pantomima degli attori tutti che va oltre il grottesco, verso il sogno. Quel sogno vellutato, profumato e incantevole che questo spettacolo ha riprodotto e regalato agli spettatori.

Il testo che sublima la poesia, l’arte, il teatro, è stato sublimato a sua volta grazie all’attenzione e al rispetto con cui Lavia si è rivolto al grande Pirandello. “Ci vogliono i poeti per dare coerenza ai sogni”, dice il mago Cotrone rivolto alla Contessa, la quale, pure, ha vissuto e vive di arte, lei attrice fin dalla nascita, fino al punto da avere smarrito la differenza tra la vita e la finzione. “La verità dei sogni, più vera di noi stessi”.

La favola di Gabriele Lavia è una favola siciliana.

Il regista-attore, di origini siciliane, ha reso un incredibile, viscerale, toccante omaggio alle Sicilia ancestrale di Pirandello, alle sue leggende e superstizioni, ai suoi dolori, alla terra dei miti selvaggi che diventano surreali, alle sue melodie e al teatro, al grande teatro siciliano. Sotto una perlacea luna, citazione di quella scoperta da Ciaula, nei panni del mago Cotrone, Lavia ha recuperato le movenze e le cadenze dei più grandi interpreti siciliani di Pirandello; la voce dell’attore, nei lunghi passaggi sofistici del protagonista che, a volte, somiglia a Ciampa, a volte a Laudisi, si modula come in un’eco della voce di Turi Ferro o di Umberto Spadaro e ancora, l’inserimento, sul finale del primo atto, di quel canto, liberatorio e panico tratto dal Liolà, dalla prima versione in agrigentino dove il giovane scapestrato canta “Arsira mi cuccava a lusirenu, li stiddi furo ca ma arripararu…lastimi, fami, siti, cripacori, chi mi ni importa si sacciu cantari? cantu e mi si arricriatuttulu cori….”, questo canto, ha arricchito e cesellato un’opera che è già un capolavoro.

Accompagnano un protagonista istrionico attori bravi, tutti affiatati, che dimostrano la maestria di funamboli in equilibrio sul filo sottile tra personaggio e maschera.

Poi, a sipario chiuso, la commozione turba gli spettatori catanesi quando viene ricordata la grande Nellina Laganà, l’attrice che nella prima parte della tournée aveva interpretato il ruolo della Sgricia e sognava di portarla a Catania, nella sua Catania, prima che la malattia la stroncasse; sulle tavole di quel palcoscenico che Cotrone-Lavia tocca e quasi bacia continuamente dichiarando che solo qui è possibile la vita, la vera vita, quella dei fantasmi, dell’arte, del teatro. Il TEATRO.

I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello
la Compagnia della Contessa Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro
Cotrone detto il Mago Gabriele Lavia
gli Scalognati Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini
i Fantocci (personaggi della Favola del figlio cambiato) Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Antonio Di Pofi
luci Michelangelo Vitullo
maschere Elena Bianchini
coreografie Adriana Borriello
assistenti alla regia Bruno Maurizio Prestigio, Lorenzo Volpe – iNuovi
regia Gabriele Lavia
produzione Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo
foto di scena Filippo Manzini
durata 2 ore e 25 minuti circa, intervallo compreso