Omaggio a Roman Polanski | Replica a Simona Almerini: da Streghe a Inquisitori

Replica a Simona Almerini: da Streghe a Inquisitori

@ Lucia Tempestini (02-12-2019)

 

Roman Polanski ed Emmanuelle Seigner

Il primo problema che pone il paragrafo finale dell’articolo di Simona Almerini su J’accuse, è di metodo – o, se vogliamo – di deontologia. L’identità di Scénario è esplicitamente quella di un giornale di approfondimento culturale, ovvero di analisi critica di prodotti artistici. Non essendo il nostro quotidiano l’ANSA, né una testata generalista, né un tabloid scandalistico, sarebbe opportuno che i personali ‘astratti furori’ e le varie militanze trovassero altrove uno spazio di espressione più adeguato, soprattutto se estranei alla poetica del film, dello spettacolo o del libro preso in esame.

Più grave e delicata la questione del contenuto. All’alba del movimento femminista italiano ci definivamo con orgoglio le nuove Streghe, e uno degli obiettivi principali era impedire a chiunque di erigere roghi contemporanei, ideologici o reali che fossero. A chiunque. Chi come me ha fatto parte fin dall’adolescenza di quel movimento, dedicando buona parte della vita ai diritti delle donne e di ogni individuo bollato come ‘diverso’ (compresi gli ebrei, che considero davvero il popolo eletto, e compresi coloro che si innamorano di altri esseri umani appartenenti al loro stesso sesso), prova una grande amarezza davanti al massimalismo feroce di #MeToo e altri gruppi analoghi. Quando esattamente siamo diventate così? Quando è successo? Quando abbiamo deciso che dovessero essere sottratti ad artisti che hanno lasciato un segno indelebile nella storia della cultura, e nelle nostre anime, gli strumenti per potersi esprimere? Quando ci siamo trasformate in ‘Madame Giudichesse della Contea di Orange’ (First Monday in October , 1981, con Walter Matthau e Jill Clayburgh) decise a bloccare produzione, distribuzione e anteprime di film diretti da persone ‘non gradite’? Nel caso di Woody Allen, persone addirittura prosciolte in due Stati diversi in fase di istruttoria.

Da quando la morale ha il diritto di interferire nell’arte? Da quando viene ritenuto normale, o addirittura necessario (ricordiamo le dichiarazioni imbarazzanti di Lucrecia Martel all’ultima Mostra del Cinema di Venezia), contaminare il giudizio critico ed estetico con valutazioni fuori tema sulle vicende personali degli artisti?

Considero ancora più urgente un’altra domanda: per quanto tempo – quanti decenni – una persona deve portare un marchio d’infamia del tutto simile a quello che i Puritani imprimevano sulla fronte dei colpevoli di condotta immorale? Per quanto tempo ancora un signore che ha superato gli ottanta anni dovrà difendersi dalla muta planetaria di cani latranti bramosi di farne scempio? Sorvoliamo sul credito dettato da convinzioni preconcette che viene dato a figure di ignota attendibilità, uscite dal silenzio a oltre 30 anni di distanza dai presunti fatti per additare l’empio alle masse. Fatti, per inciso, che a questo punto non è più possibile accertare.