La scomparsa di Roberto Laganà Manoli, scenografo e regista di prima grandezza (il melodramma fu il suo grande amore)

 

 

La scomparsa di Roberto Laganà Manoli

Scenografo e regista di prima grandezza

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È morto giorni fa a Catania all’età di 80 anni il regista e scenografo Roberto Laganà Manoli. Artista di fama internazionale impegnato in spettacoli di lirica e di prosa, aveva lavorato, tra gli altri, anche con Giorgio Strehler e Tino Buazzelli. Si era formato e aveva a lungo lavorato nel Teatro Stabile di Catania già ai tempi di Mario Giusti.

Innamorato della lirica, Laganà ha lavorato a lungo al Teatro Massimo Bellini di Catania – il suo l’allestimento più recente è stato «Madame Butterfly» nel 2013 – e in contemporanea raccoglieva successi in Sudamerica, dov’era notissimo. Tra i suoi più importanti incarichi, quello di direttore degli allestimenti scenici del Teatro dell’Opera di Roma.

Nella sua città, Catania, negli anni Ottanta divenne anche capocomico di una compagnia di prosa di giovani che produsse alcuni spettacoli tra cui «Reuzzu», da lui scritto e diretto. Da tempo non stava bene e limitava le uscite pubbliche. Una delle ultime fu quella del dicembre del 2017 per ricevere nel Teatro Sangiorgi il premio Domenico Danzuso alla carriera conferitogli “per l’innata eleganza che gli ha consentito di lavorare nei  teatri lirici e di prosa di tutto il mondo».(gds)

 

Così il collega Giuseppe Lazzaro Danzuso, per anni critico teatrale del quotidiano “Espresso sera”, ricorda il maestro scomparso

 

Più d’una volta ho avuto il privilegio di vedere Roberto Laganà Manoli tracciare degli schizzi: per una scenografia, un disegno, un manifesto.
Restavo sempre a bocca aperta per quel movimento ampio, per la semplicità, la naturalezza del gesto che determinava la forza del tratto.
Era come trovarsi d’improvviso proiettato dentro a una favola disegnata.
Un geniale affabulatore era, Roberto: raffinatissimo e popolare insieme.
E soprattutto amava stupire.
Per questo era teatrale in tutto, a cominciare dall’abbigliamento.
Lo ricordo da sempre con, sul naso, occhiali stravaganti, al collo raffinatissimi foulard, in testa sempre eleganti cappelli a larghe falde.
Ma a caratterizzarlo erano soprattutto le sciarpe di seta nella bella stagione e, nell’inverno, i suoi incredibili scialli, esageratamente ampi e pieni di fantasia.
Se ne avvolgeva come un pipistrello nelle sue ali, e svolazzava per le strade delle capitali del mondo, per teatri di lirica e di prosa, per ristoranti e salotti spandendo buonumore e allegria grazie alla sua ironia placida, mai cattiva.
“Amava il teatro più di sé stesso”, mi ha detto ieri sua moglie.
Ne sono convinto.
Ma credo che amasse anche chiunque facesse parte dell’ambiente del teatro: conosceva le storie personali di attrezzisti, scenotecnici, sarte, diventati la sua famiglia.
Persino gli attori riusciva ad amare, quell’ambiente di perfidi bambini d’ogni età in cerca soltanto dell’applauso: grandi cuori avvelenati dall’ansia di primeggiare.
Lui, Roberto, pur conoscendo i difetti di tutti, era tollerante, accomodante, affettuoso.
E, soprattutto con i ragazzi, aveva, in un certo senso, la vocazione della chioccia.
Tanto che, a un certo punto del suo percorso umano e professionale, volle diventare capocomico.
Non era perfetto, badate, ma umanità e ironia sono sempre stati le sue caratteristiche: le stesse che ricordo in Mariella Lo Giudice, sua grande amica.
A una cena a casa di Mariella e Angelo Giordano è legato il mio più curioso ricordo di Roberto Laganà: la scoperta che portava al collo una piccola catena con attaccato non l’immagine di un santo protettore o un amuleto, ma una fiala di vetro chiusa da un cappuccio d’oro bianco.
La fiala custodiva un ingrediente meraviglioso: della rossa polvere di peperoncino, che Roberto amava spandere – teatralmente – sulle pietanze, quand’era a tavola con amici.
E mentre lo spargeva, raccontava: sapeva cogliere con straordinaria arguzia pregi e difetti celati nelle grandi personalità del mondo del teatro con cui aveva lavorato.
La sua galleria di ritratti si animava.
Perché sapeva narrare, Roberto, con quella voce curiosa, a volte afona, punteggiata da catanesissimi “ah?”
Così voglio ricordarlo, Roberto Laganà Manoli: con quella fiala in mano piena di magica polvere rossa.
Sempre pronto a spargere, ovunque, il pepe della sua ironia.