Un’edificante persecuzione
Bisogna ammettere che #MeToo è animato da un’innumerevole quantità di buone intenzioni. Così edificanti e ferme (ferree, monolitiche) da incutere un sottile spavento. Pare, a momenti, di partecipare a ‘La lotteria’ descritta da Shirley Jackson nel suo celebre racconto. Quello stesso luminoso mattino (di giugno, se non ricordo male) nel villaggio del New England in cui ogni anno, da tempo immemorabile, viene organizzata un’estrazione a sorte, in piena innocenza, la cui natura il lettore scoprirà solo alla fine, in un crescendo di sommesso sgomento. E tutto quello splendore azzurrino andrà a spegnersi dentro il vicolo buio e sinistro del sacrificio rituale.
Se scendiamo ad esaminare i meccanismi che si celano dietro l’enfasi positivista e apodittica di molte esponenti di #MeToo, del tutto spersonalizzata e vagamente disumana, c’è il caso di imbattersi nella stessa veemenza purificatrice degli Inquisitori cattolici o protestanti o, peggio, in una versione istituzionalizzata e sempre più intransigente degli avvenimenti narrati ne ‘La lotteria’. Secondo René Girard le vittime (sacrificali) vengono sempre scelte in base al criterio di vendetta – processo infinito, interminabile – e introduce addirittura il concetto di vittima sostitutiva, ipotizzando plausibilmente che il sacrificio rituale sia fondato su una sostituzione, consapevole o meno, per allontanare la violenza dagli esseri che si cerca di proteggere.
Presumo che Woody Allen abbia letto i testi di Girard e che, conoscendo fin troppo bene quanto l’animo umano si discosti dalle parole e dall’immagine di sé e quanto possano diventare pericolosi certi velleitari eccessi di ansia purificatrice, si aspettasse, prima o poi, di venire emarginato, spogliato degli strumenti necessari a concretizzare una creatività leggera e profonda che ha, più di una volta, salvato la vita a molti di noi.
Chissà se le Signore inflessibili di #MeToo riescono a dormire serenamente la notte (sono convinta di sì, il cuore umano ha cessato di battere da molto tempo), chissà se i produttori che hanno rifiutato di far uscire nei cinema il nuovo film del Maestro sono stati sfiorati dal pensiero che per un artista di 83 anni, prosciolto due volte in fase istruttoria per l’infondatezza delle accuse, questa persecuzione (i dizionari la definiscono così) equivale a una condanna a morte. Perfettamente legale e perfettamente vile.
Se il motivo fosse davvero il tema trattato nel film (l’amore fra un cinquantenne e una sedicenne), allora dovremmo bruciare sul rogo Lolita, romanzo e versione cinematografica, oltre a un numero incalcolabile di altre opere d’arte (magari insieme ai loro autori?).