Il posto dei cedri. Ritorno a Rosanville
Quando ogni estate, puntualmente, vengo colpito da un attacco di ‘proustatite’, me ne vengo qui per qualche ora, nel villaggio privato in cui vissi le estati balneari della mia infanzia, Rosanville, inscritto nella Marina di Belvedere, sul Tirreno cosentino, oggi malinconicamente fantasmizzato, in parte fagocitato da una clinica, in parte ridotto a rudere archeoturistico.
Si chiamava così perché a fondarlo e ad esserne dominus assoluto era un certo Pasquale Rosano, un panciuto signore dall’aria tipica del commendatore meridionale, un padrone delle ferriere in sedicesimo, sempre trafelato e sudato dietro i suoi occhiali scuri, che a bordo della sua 500 color caffè era solito percorrere incessantemente, in lungo e in largo i pochi viali costeggiati da oleandri e bouganville che costituivano la contenuta superficie quadrata del suo possedimento.
Era quasi sempre accompagnato da Matteo, un mite e forzuto factotum che mandava avanti il villaggio praticamente da solo e gli era fedele come certi neri dell’Alabama lo sono ai padroni delle piantagioni di cotone. Oltre all’albergo, al ristorante, alle case date in affitto, al bar e alla rotonda, alle rimesse per le barche, c’erano i depositi dove erano conservate le riserve di cedro, vera fonte della sua ricchezza, il bene in cui aveva investito tornando dall’America dove aveva fatto fortuna.
Nonostante non ne venisse apprezzato fino in fondo il valore intrinseco e potenziale, come quasi tutto in Calabria, il cedro, peculiarità di quel tratto settentrionale della costa cosentina, era un agrume prezioso da cui in una terra più industriosa e meno neghittosa si sarebbero potuti trarre liquori, infusi, creme, dolci, pietanze cui allora nessuno pensava, tranne certe comunità ebraiche che sarebbero poi venute da ogni parte del mondo per acquistare in settembre i frutti migliori per una loro festa religiosa.
Don Pasquale aveva però un altro pallino ancora accolto con scetticismo alle cene della pizzeria ‘Milleluci’ dai soliti commensali – notabili, politici, e signorotti locali, oltre ai suoi affittuari stagionali più in vista – ovvero quello di aprire nella provincia di Cosenza il primo supermercato, come quelli fiorentissimi che aveva visto in America e che puntualmente cominciavano ad imporsi anche in Italia, principalmente a Milano, con qualche decennio di ritardo. A Cosenza il grande magazzino della Standa e quello autoctono di Bertucci in Corso Mazzini ovviamente erano di là da venire.
La Clinica Tricarico che oggi ha preso quasi per intero l’area di tutto quel villaggio, a conferma della prevalenza di una sanità assistita a discapito di un turismo ancora avventuroso, è il segno più chiaro del fallimento di una Calabria insana e insuscettibile di riscatto. Tricarico era il genero di Don Pasquale e per un momento nel ’68 la sua clinica ascese alla ribalta nazionale, quando in una giornata di mare grosso e tempo incerto in cui nessuno era sceso in spiaggia, accolse una malconcia Caterina Caselli, reduce da un incidente in auto durante il suo tour estivo. Quando si seppe del ricovero di ‘casco d’oro’, allora in hit parade con ‘L’orologio’ e beniamina di mio fratello Roberto, si creò spontaneamente un assembramento di folla per la presenza di un personaggio così popolare davvero inconsueta in quelle contrade.
Per bissare un evento di tale portata si dovrà attendere un paio d’anni e l’avvistamento di Patty Prato in topless sull’arenile della vicina Diamante. A Rosanville ho vissuto le classiche villeggiature degli anni del boom, in tutto simili a tante commedie cinematografiche coeve: la rotonda sul mare, i primi bikini, i tipi da spiaggia, le bellone ancheggianti, le chiacchiere da ombrellone, le cabine, gli idropattini, i primi flirt degli adolescenti fortemente avversati dagli adulti, i castelli di sabbia, i falò, il nascondino oltre il deposito del cedro, vere colonne d’Ercole della Marina di Belvedere oltre le quali, a differenza di oggi, Diamante era ancora un punto lontano sulla linea costiera, gli apparecchi televisivi di fortuna dalla ricezione intermittente e poi ancora le bibite, i gelati, i balli stagionali, il juke-box da cui mi arrivarono tutti i grandi, inossidabili successi degli anni sessanta, oggi un po’ abusati dai troppi revival corrivi.
Rosanville è il mio personale luogo-mito di una stagione della vita, l’infanzia, che per mia fortuna coincise con un decennio tra i più memorabili e rimpianti dello scorso secolo.