Quella volta che a Torino feci assaggiare il ‘bicerin’ a Ken Loach
Non ricordo esattamente quando ebbe luogo ma c’è un simpatico episodio che mi lega al regista inglese insignito con la Palma d’oro a Cannes nel 2006 e nel 2016. Credo sia stato pressapoco otto-nove anni fa. Mi pare che Loach fosse presidente della giuria del Torino Film Festival in un’edizione precedente rispetto a quella cui si rifiutò di partecipare per solidarietà con i lavoratori del Museo del Cinema, i quali lamentavano mancati pagamenti da parte del Comune di Torino, episodio che fece scalpore e creò non poco disagio agli organizzatori della rassegna. Purtroppo non esistono scatti che documentino l’episodio poichè all’epoca usavo ancora un piccolo Nokia molto essenziale, sprovvisto di funzioni fotografiche.
Saranno state le 16,30 circa ed appena uscito dal Cinema Reposi in Via XX Settembre, avevo in animo di poggiare in albergo il giornale ed altre cose accumulate durante la mattinata e magari dopo una rinfrescata, recarmi al Cinema Massimo, sotto la Mole Antonelliana per vedere un altro film dove avrei probabilmente trovato un amico abituale della kermesse torinese. Ridiscendevo Via Po da Piazza Castello procedendo sul lato destro, allorquando m’imbattei nel regista inglese e nel suo produttore, accompagnati da alcuni addetti al cerimoniale del festival di cui non conosco il nome ma con cui, di riffa o di raffa, ho a che fare da anni. Li salutai, si fermarono, mi confessarono un piccolo disagio. Stavano infatti acconpagnando in albergo i loro due illustri ospiti sebbene questi mostrassero una qualche recalcitranza al protocollo di giornata. Così proposi loro, estemporaneamente, di entrare all’antico Caffè Fiorio, uno dei miei preferiti, e di bere qualcosa. La ragazza tradusse, Loach si mostrò interessato, come pure il suo produttore e mi guardarono grati, come se con la mia semplice idea li avessi sottratti ad una routine soffocante.
Prendemmo posto nel salotto intermedio tra marmi e velluti. Loach mi chiese cosa convenisse bere. “Grappa?” domandò, fiero di dimostrare la sua familiarità con le usanze del luogo. “Se vuole” risposi. “Io prenderò un bicerin”. Incuriositi, mi chiesero di cosa si trattasse. Insieme agli amici dell’organizzazione spiegammo loro che è un’antica bevanda calda a base di caffè e cioccolato. Contenti di assaggiare una specialità locale, aderirono senza indugi. Poi parlammo un pò con Loach della situazione del cinema italiano ed infine, brevemente dei suoi film, ma non quelli celebri e premiati degli ultimi anni, bensì quelli degli esordi come Poor cow o Ken, teoricamente ancora appartenenti al tardo periodo del Free Cinema. Dopo aver espresso la mia grande ammirazione per Il mio amico Eric, ricordo, gli chiesi di un suo film in costume che a tuttora non ho visto, Black Jack. Ne rimase sorpreso, mi ringaziò per la scoperta del bicerin ma disse che sopra ci stava bene una grappa e l’ordinò. Ci salutammo tutti affabilmente, loro diretti al Lux, io, in ritardo, di gran carriera, al Massimo, in direzione opposta. Ero ancora carico ed impacciato dal cartaceo raccolto che mi rendeva insofferente ma anche contento e sorpreso di quell’intermezzo fuori programma.