L’instancabile vertigine della follia. “Il padre” di A. Strindberg al Teatro Quirino di Roma dal 23 gennaio al 4 febbraio

L’instancabile vertigine della follia

Il padre

Gabriele Lavia

Di August Strindberg

Regia Gabriele Lavia

Con Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Giusi Merli, Gianni De Lellis

Scene Alessandro Camera

Musiche Giordano Corapi

Produzione Fondazione Teatro della Toscana

 

August Strindberg non è una figura semplice nel teatro contemporaneo, sia per una questione stilistica che contenutistica. Se infatti i suoi drammi appaiono a prima vista naturalistici è evidente quanto siano pregni di una valenza simbolica, quasi psicoanalitica. Ma ciò che problematizza ancor di più le sue opere è la proverbiale misoginia che fece guadagnare a Strindberg l’appellativo di kvinnohatare (colui che odia le donne).

Il suo rapporto tormentato con la prima moglie, Siri von Essen, lo convinse infatti dell’incomunicabilità tra uomini e donne e della perpetua guerra che si consuma all’interno delle famiglie, persuasione che poi si ritrova in quasi tutti i suoi testi.

Il padre, che non si esime da questa lettura, è uno dei drammi in cui la donna appare più meschina e calcolatrice. Il pretesto che fa scaturire una lotta all’ultimo sangue tra marito e moglie è l’educazione della giovanissima figlia, che la madre vorrebbe diventasse pittrice e che il padre vuole mandare in città a studiare, per allontanarla dall’influsso nefasto delle donne di casa.

Lavia è riuscito nell’intento di non far apparire questo testo una fastidiosa invettiva contro il genere femminile, ma una riflessione sul rapporto uomo-donna che, per alcuni aspetti, presenta ancora delle problematiche simili.

La pièce si interroga anche sul labile filo che separa l’integrità mentale dalla follia. Il Capitano Adolf infatti è un personaggio che appare all’inizio molto forte e deciso, ma progressivamente si sgretola davanti al tarlo ossessivo del dubbio, che addirittura gli farà mettere in discussione la sua paternità.

Lavia è molto abile a creare un personaggio sfaccettato e per nulla scontato, grazie alla sua forte presenza scenica e alla recitazione un po’ sopra le righe, sempre al limite tra il registro drammatico e quello caricaturale.

La scenografia, di Alessandro Camera, è funzionale a trasmettere un senso di realismo misto a un simbolismo che evoca il tormento interiore del protagonista. I mobili inclinati e il velluto rosso onnipresente rappresentano la follia dalla quale pian piano il Capitano viene inghiottito.

Da rimarcare anche le musiche di Giordano Corapi che scandiscono l’azione in modo quasi cinematografico.