Le “Carceri” di Stephen King. ‘IT’ di Andreas Muschietti

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Le “Carceri” di Stephen King. ‘IT’ di Andreas Muschietti

con Bill Skarsgård, Sophia Lillis, Owen Teague, Jaeden Lieberher, Finn Wolfhard

USA 2017, distribuzione Warner Bros. Pictures

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I Morti hanno freddo. Vivono nei sottosuoli di grandi o piccole città: cantine, condotti fognari smisurati, cisterne esalanti costante umidità e disagio, luoghi paralleli battuti dalla pioggia. Adolescenti e bambini spaventati dalla solitudine, ancora più marginali di quanto siano stati in vita. Piangono chiedendo calore, e una possibilità di ritorno, invocano l’abbraccio dei fratelli maggiori e la casa, il nido, il mondo di sopra, la vita di prima.

Ma noi, i vivi, abbiamo smarrito da tempo la capacità di illuderci, di trattenere o ridare forma. Sappiamo che il Tempo è perduto per sempre, e non tentiamo neppure – assurdamente – di abbracciare le Ombre fuoriuscite dall’Erebo. Alle lacrime “dei ragazzi, e dei vecchi che hanno molto sofferto, delle fanciulle con un dolore recente nel cuore” possiamo rispondere solo con lo strazio impotente, con il dolore che ci ronza nelle orecchie come uno sciame di vespe, con l’illimitato rimpianto.

Quello che ci resta è un disegno in qualche modo eroico: unire le nostre debolezze, le nostre ferite, le nostalgie, gli handicap apparenti (stigmatizzati e perseguiti dalla comunità solo perché segno di diversità rispetto al canone; invisibili lettere scarlatte che attirano vessazioni sistematiche), e un sotteso senso di giustizia. Le piccole o grandi qualità interiori che contraddistinguono ciascuno – irrise, spesso, dalla grettezza farisaica del mondo adulto circostante, dall’ottusità bestiale della maggior parte dei coetanei – si amalgamano in un processo alchemico, dando vita a una materia composita come gli scafi dell’800, fatti di ossatura d’acciaio e fasciami di legno eppure perfettamente funzionali.

Questa sostanza nuova, scaturita dalla saldatura dei percorsi esistenziali accidentati dei sette ragazzi protagonisti di “IT”, permetterà loro di fronteggiare e ricacciare nell’oscurità infera il Male, incarnatosi in un sinistro e suadente clown, Pennywise, da vari decenni rapitore e uccisore di bambini e adulti nell’apparentemente idilliaca cittadina di Derry, nel Maine.

Ma se Pennywise non è che la rappresentazione della concreta quanto occulta violenza di un intero villaggio, elevato a simbolo di ogni possibile abiezione umana, la vera battaglia per il gruppo dei Perdenti (il balbettante Bill, ossessionato dalla scomparsa del fratellino Georgie, l’obeso ma intelligente e sensibile Ben, il coloured Mike, Beverly dai capelli di fiamma, devastata dalle molestie del padre pedofilo, il sarcastico Richie, fool della banda, l’esile Eddie tormentato da una madre/mostro che per tenerlo stretto a sé lo convince di essere gravemente malato, Stan, ragazzino ebreo inseguito dalle allucinazioni procurategli dalla lettura obbligatoria della Tōrāh) sarà affrancarsi, anche in modo sanguinoso, dalle famiglie disfunzionali e dai persecutori d’ogni età.

Prima ancora, poiché si tratta di creature poste sulla linea invisibile che separa l’infanzia dall’adolescenza, quindi ancora capaci d’incanto, trovare gli istanti irripetibili, epifanici che renderanno eterna quell’estate: il bagno nel fiume increspato di sole, le corse in bicicletta, tutti insieme, verso l’orizzonte.

Alla fine, vera prova iniziatica, salveranno gli scomparsi non ancora uccisi da Pennywise – fra i quali Beverly –, i cui corpi galleggiano nell’aria, presi da una forma di astrazione immemore e atona, entro una caverna conica scavata nella roccia dalle unghie dei giganti, alla cui sommità è situata un’apertura che lascia filtrare una luminescenza d’acquario. Come nelle Carceri di Piranesi, lo spaesamento è dato dai volumi e l’impossibilità di fuga psicologica dal dissolversi nell’aria del concetto stesso di speranza e realizzazione dell’identità. Tormento ulteriore, immaginiamo, quella lontana fenditura, attraverso la quale alle creature sprofondate nell’ipnosi può giungere, irraggiungibile e sottile, l’odore del grano insieme alla nostalgia della vita.

luciatempestini0@gmail.com

 

 

Author: L. Tempestini & S. Cervini

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