Danilo AIMONE- Georges Méliès, la verità della finzione

 

A 120 anni dalla invenzione dei ‘trucchi’ (oggi. ‘effetti speciali’) cinematografici

 


GEORGES  MELIES, LA VERITA’ DELLA FINZIONE


Per una dettagliata  analisi de “Il viaggio nella luna”

 

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“Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin”  “Le cauchemar” ovvero centoventianni, nel 2016, dai primi esperimenti di effetti speciali (un tempo solo ‘trucchi’) applicati al cinema, ad opera di un genio e pioniere di nome Georges  Meliès.

Questo articolo gli rende omaggio analizzando un’opera del 1902 che segna la compiutezza, l’amalgama compiuto e raffinato di una sperimentazione di immagini riprodotte e in movimento (iniziate con la pratica teatrale dell’illusionismo), cui solo Martin Scorsese, con “Hugo Cabret”  riusci, per sua chiara fama , ad assegnare il crisma e riconoscimento della pubblica consacrazione

Che Georges Mèliés abbia segnato la storia del cinema è indubbio. Lo scarto fra il cinema realista dei Lumiere e il suo cinema fantastico è oramai la base per comprendere tutte le forme evolutive cui la settima arte è andata incontro nei suoi 120 anni di vita. Il passaggio dal concetto di cinema documentario a quello di rappresentazione e di finzione “palesemente” soggettivo, e per questo disvelatore di quell’equivoco iniziale per cui la realtà era stata “catturata” dai Lumiere, è tutto merito suo. Per estensione, Mèliés non è da meno, nella “definizione” dell’uomo contemporaneo, dei suoi coevi frammentatori dell’io e della realtà, Freud, Kafka e Pirandello.E’ altrettanto vero che questa dicotomia importante ha però finito con il penalizzare, e anche di molto, l’analisi dell’ampiezza dell’innovazione filmica di Mèliés. Parlo di film e non di cinema non a caso.

Lo strumento cinema, la “macchina cinema”, ha beneficiato delle invenzioni del nostro e gli studiosi gliel’hanno riconosciuto in pieno: dalla “scoperta” del montaggio, più o meno casualmente durante le riprese de l’“Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin” del 1896, all’invenzione degli effetti speciali(L’uomo orchestra, 1900) attraverso la messa in campo, ad esempio, dell’”esposizione multipla”, fino alla dissolvenza ed al colore (seppure realizzato a mano). Il risultato filmico dato dall’uso di tutti questi strumenti, e soprattutto dei principi filosofici che incrociavano,è invece ancora lontano dall’essere analizzato come merita. Se prendiamo come esempio l’opera massima di Mèliés,”Il viaggio nella luna”, del 1902, tutto ciò sarà ancora più chiaro.In teoria il film rappresenta l’archetipo della science-fiction.

Ci sono tutti i tòpos del genere ben presenti. Un gruppo di uomini coraggiosi, l’avventura fuori dalla realtà, la fuga, il ritorno. Ma con più di cinquant’anni d’anticipo rispetto a quello che sui generi avrebbero scritto i teorici della Nouvelle Vague, con in testa AndrèBazin, con questo film Mèliés si preoccupa di interressarci non tanto ai modi con i quali quest’avventura viene veicolata ma soprattutto usa questi modi per regalarci contenuti sino ad allora inediti. Ogni singola inquadratura o quadro del film, susseguentesi in rigoroso ordine cronologico in tempi di linguaggio cinematografico ancora minimale, racconta della Francia dell’epoca e dunque dell’intero Occidente, in soli 15 minuti complessivi, molto più di quello che migliaia di ore di documentari “realistici” dei fratelli Lumiere hanno saputo dire o hanno mai detto.

In questo modo, Mèliés definisce la finzione come il migliore veicolo per raccontare la realtà, aggredirla, denudarla,inventarla entrandoci dentro, sviscerandola fin nei minimi particolari.Roberto Rossellini, padre del cinema neorealista, a difesa di questa tesi attivò una polemica feroce con gli esponenti del cinèma-vèritè francese.Jean-Luc Godard  scrisse che i Lumière avevano scoperto “lo straordinario nell’ordinario” e Georges Mèliés “l’ordinario nello straordinario”.Il documentario è fredda esposizione di immagini che incrociano lo sguardo dello spettatore senza farlo andare al di là di una semplice presa d’attofenomenica. Le immagini, anche quelle riprese dal vero, devono essere agite, contestualizzate, animate, personalizzate. E questo l’avrebbero capito, ad esempio, grandi documentaristi come Flaherty ,Grieson e Ivens, applicandosi sul genere da par loro per arricchirlo.Ed oggi i nostriGianikian e Ricci-Lucchi con il loro geniale lavoro di recupero filologico di documentari anonimi e non del passato confermano questo assioma. Tutto ciò trova, dicevamo,le sue  fondamenta proprio ne “Il viaggio nella luna” di Mèliés. Analizziamo il perché.

La prima inquadratura del film mette in scena un congresso di scienziati che dibattono animatamente(anche l’ironia al cinema l’ha inventata Mèliés!), tutti figli di quel positivismo di stampo liberista che vedeva nella scienza uno strumento al servizio del capitale, noncurante delle leggi e del rispetto della natura, con tutte le conseguenze che l’umanità avrebbe poi sofferto fino ai nostri giorni.Il  secondoquadrosi sofferma sulla costruzione della navicella che dovrà portare gli scienziati alla conquista della Luna, con 67 anni di anticipo sulla Storia. I tanti operai che vi lavorano intorno, ognuno con un proprio compito ripetitivo ben preciso, non sono altro che l’esposizione visivadel “taylorismo” e del “fordismo” che stanno tragicamente prendendo piede in tutto il mondo occidentale. In questo senso Mèliés ha un approccio con la classe operaia e con il lavoro completamente diversa dai Lumière, diciamo pure molto più coraggiosa. Il primo film proiettato dai due fratelli alla prima parigina del Cinematographe, il 28 dicembre del 1895,”L’uscita dalla officine Lumière a Lione”, riprendeva, infatti, i lavoratori fuori dalla fabbrica, nel momento più felice della loro giornata! Inconsciamente o no, i Lumière, da buoni industriali, avevano aggirato “il problema lavoro”.

L’inquadratura immediatamente seguente, la terza, si sofferma,in maniera a dir poco sorprendente, con un campo lungo, sulla città da cui gli scienziati stanno prendendo momentaneamente congedo. L’agglomerato industriale e i fumi che ne derivano sono tali da anticipare le tante megalopoli distopiche raccontate in anni recenti da film come “Bladerunner” o “Brazil”. Gli scienziati sembrano commentare tutto ciò, forse preoccupati di dare un futuro alla loro specie, anche attraverso il loro imminente viaggio. Dunque, il Capitale non si corregge ma cerca sempre nuovi spazi, fin che può, fino alla fine. La quarta inquadratura è un totale che riprende la navicella prima della partenza. Bandiere e militari, con contorno di miss, salutano gli eroi pronti all’avventura. Politica, scienza e propaganda: il Novecento è da poco iniziato! Tra l’altro la navicella ha la forma di un missile e viene lanciata in orbita da dentro un cannone! Che Kubrick avesse in mente e soprattutto negli occhi tutto ciò quando realizzò “Il dottor Stranamore……”,’63?! Di sicuro questa inquadratura è fortemente propedeutica nei contenuti alla seguente. Nelquinto e celebre quadro, infatti,la navicella missile approda sull’occhio della Luna, in una sintesi simbolico-metaforica fra le più efficaci. Anticipando il montaggio connotativo di Ejsenstejn, Mèliés denuncia, anche se in maniera divertita, l’aggressione violenta alla natura e ad un altro territorio da parte degli occidentali.

E se il discorso sulla natura e sull’ambiente dà seguito a quanto visto prima, la metafora sul colonialismo assume forme sempre più nette e precise nell’inquadratura seguente, quando i nostri eroi, entrati nella Luna, sono fatti oggetto di attenzione da parte degli indigeni, i lunatici, in tutto e per tutto somiglianti ai colonizzati coevi dell’Africa. Anche in questo caso,Mèliés prende una posizione netta e molto coraggiosa per i tempi a favore  dei lunatici-colonizzati, i quali dopo aver catturato gli scienziati li fanno giudicare da un tribunale tribale. Scampati fortunosamente al giudizio, gli scienziati faranno ritorno sulla terra ammarando. L’inquadratura, la penultima, della navicella che cade sul mare e sprofonda dentro di esso, anticipando per dolcezza e morbidezza quella celebre de “L’Atalante” di Jean Vigo,’34, consente a Mèliés di mettere in scena prodigiosamente ciò a cui l’uomo dovrebbe ambire: la pace e la serenità, con se stesso, con la Storia e con la natura. Invece,proprio nel seguente ultimo quadro, gli scienziati sono accolti come trionfatori con tanto di monumento ad immortalare le loro eroiche gesta. E persino con la soddisfazione di farsi gioco di un lunatico inciampato sulla navicella e caduto con loro sulla terra. Insomma, Mèliés racconta l’incorregibilità dell’uomo, dell’uomo occidentale, quello che egli conosce, attraverso un film di pura fantasia in cui egli mette in scena tutte le problematiche del suo tempo, a testimonianza che anche la fantasia, anche la più sfrenata, ha radici sempre e profondamente reali perché inevitabilmente frutto del pensiero umano.

Ed anzi quanto più ci si allontana dalla “stretta” realtà tanto più si ha la possibilità di analizzarla e comunicarla. Si potrà anche dibattere all’infinito su quanto Mèliés sia stato sempre consapevole di tutto ciò che noi oggi stiamo affermando del suo lavoro. In ogni caso, egli come tutti noi, per dirla con Marx, fu figlio del suo tempo. E soprattutto il suo film è, comunque, figlio del suo tempo. In questo senso,la ragione del cinema di Mèliéssta tutta nell’essere interprete di una realtà in divenire di cui le immagini sono esse stesse parte integrante e imprescindibile. Quando gli scienziati allunano, stanchi del viaggio si addormentano. E sognanobelle ragazze che li circondano. Treanni  primadel film, 1899,  Freud aveva dato alle stampe “L’interpretazione dei sogni”. Mèliés inserisce l’onirico come rafforzativo del fantastico, proprio perché la portata innovativa del saggio di Freud fu tale che si faceva difficoltà a inserire le sue teorie nell’ambito del reale.

Il cinema comincia ad assumere i sogni come elemento fondante del suo essere. Realtà e fantasia, sogno e verità si ritrovano e provano a confrontarsi su un terreno a loro congeniale, le immagini in movimento, il cinema. Il tutto grazie a Mèliés. E non fu certo un caso chela sua opera venne riscoperta, dopo il suo triste ritiro, dai surrealisti, che organizzarono per lui una retrospettiva, la prima retrospettiva cinematografica della storia. Nel 1931, Mèliés ricevette la Legion d’Onore direttamente dalle mani di Louis Lumière, il quale riconobbe pubblicamente in lui il padre del cinema inteso come rappresentazione del reale, riservando a se stesso ed al fratello il ruolo di semplici inventori del mezzo cinematografico. Tra l’una e l’altra cosa c’è di mezzo un mare che si chiama “arte”.

 

*Testo elaborato dall’autore per una lezione all’Accademia di Belle Arti “Mediterranea” di Ragusa, dove insegna Storia del cinema e del video

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