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Angelo PIZZUTO- Squitieri, Cardinale. A Teatro, tempo fa (Primo piano sull’autore)


Sempre dal volume dedicato a Pasquale Squitieri e Claudia Cardinale (Primo piano sull’autore, Spoleto) ecco il  breve saggio di Angelo Pizzuto

SQUITIERI , CARDINALE…A TEATRO, TEMPO FA

Con “Come tu mi vuoi” di Luigi Pirandello

Il nome della mia donna è ineffabile\il suo volto non raffigurabile   (
anonimo poeta arabo)
La foto carpisce, quindi oltraggia il volto dell’anima (
da una lezione di psicanalisi junghiana)

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Premessa.
Non volendo parafrasarmi o raccontare al passato, ho pensato (bene?) di rapportarmi a Pasquale Squietieri e Claudia Cardinale rielaborando (in un innesto) le recensioni di “Come tu  mi vuoi” scritte nel 2002 per le riviste “Filmcronache” e “Cinemasessanta”

Luigi Pirandello scrisse “Come tu mi vuoi” nel 1930, in uno dei periodi più aspri, ma professionalmente proficui del suo tormentato rapporto con Marta Abba, cui l’opera è dedicata- e avendo già maturato la centralità dei temi di cui il suo teatro è dirompente innovatore (nell’ambito, almeno, del teatro borghese): quello delle “maschere nude” e quello del “teatro nel teatro” (del quale i “Sei personaggi…” restano il vertice).

Considerata, credo a torto, un’opera minore – forse perché, ad eccezione di Rossella Falk e Marina Malfatti, nessuna attrice di rilievo la annovera  in repertorio- “Come tu mi vuoi” rispetta invece, ma  con più lievi  tonalità, la struttura tradizionale del dramma pirandelliano (che in “Enrico IV” e nel racconto del “Fu Mattia Pascal” trova più cerebrale sviluppo), liddove uno ‘sconosciuto’, un ‘dimentico di sé’ subisce- quasi per paradigma- l’assalto, l’invadenza di un ‘consorzio civile’ (organizzato per  regole ferree)che intende coercizzarne il  rientro (forzoso) in società. Quindi imporre o re-imporre all’ ‘evasore’, al ‘disertore’, all’assente volontario l’identità fittizia, sgradita, ingombrante da cui era fuggito. O un’altra peggiore.

Come dire? Essere, apparire, negato diritto all’oblio ossessionano  (e indignano) Pirandello esattamente come l’invasività dei rapporti interpersonali induceva  Sarte ad affermare (quindi anni  dopo, in “A porte chiuse”) “il vero inferno sono gli altri”. Peculiare è inoltre, in  Pirandello, la straordinaria capacità di trasfigurare un episodio  di misera  cronaca provinciale (“Il piacere dell’onestà”, “Berretto a sonagli”, “L’uomo, la bestia, la virtù”) in schema esistenziale di tanta umana afflizione: essendo “Come tu mi vuoi” la traduzione  ipotetica del caso Bruneri-Cannella, tribolata vicenda di una donna che crede di riconoscere in un uomo internato in manicomio-colpito da amnesia irreversibile- il marito scomparso durante la ‘grande guerra’.

Ribaltando il gioco delle parti (qui è un marito a ‘rivedere’ in una Ignota  la moglie perduta “non si sa come”), l’autore ha comunque modo di contribuire, direttamente o meno, al dibattito sul ruolo, l’indipendenza, l’identità femminile che, già dagli inizi del secolo (da Freud a Joyce) iniziava ad animare l’élite intellettuale  dell’Europa asburgica. Irrorando tale querelle di tutte le ritrosie  (idiosincrasie, remote timidezze) di cui l’arte pirandelliana andava illividendosi, nel sinuoso ma assillante confronto con la benjaminana ‘riproducibilità’ fotografica e cinematografica, dettagliatamente annotata nei dimenticati “Quaderni  di Serafino Gubbio, operatore”.

Quasi che la moltiplicazione illusoria, fotochimica della ‘imago-amata’  degradasse qu8est’ultima  a mondanità contigua al meretricio, alla mercificazione seriale di cui Pirandello preconizzava alcuni indubbie tossicità e veleni per la “solida sanità morale” cui egli ambiva per interposta persona (il Padre dei suddetti “Sei personaggi….”). Non sappiamo, a questo punto, se Pasquale Squitieri, ponendo mano – se non erro- alla sua prima regia teatrale abbia voluto (voglia o intende) prender parte, con qualche ritardo o gusto vintage, a tante dispute.

Sta di fatto che il  “Come tu mi vuoi” (di scena all’Argentina di Roma), che ha per simulacro e musa cangiante Claudia Cardinale (non a caso ‘donna, compagna’ del regista), risalta come spettacolo fluido, vivido, di ben calcolata ‘leggerezza’ – sia per tonalità di interpretazione (decantata rivisitazione di un Pirandello resosi meno cupo e serioso) , sia per assoluto rifiuto di ogni intellettualismo (musone) con cui il testo, qui ripassato alla maniera di un semi-vaudeville, interseca, ma senza appesantirsi,  la riflessione metalinguistica inerente le “complicità, diversità, avversità  espressive” che da almeno un secolo abbracciano- non troppo amorevolmente-  cinema, teatro, fotografia e arti visive.

Già nella relatività del titolo (quel “come tu…” che equivale ad un “Come vi piace”) credo si evidenzi la labilità dell’assunto secondo il quale “è” presuntuoso, puerile,  da (presuntuosi) sprovveduti  imprimere identità improprie (funzionali a cosa?) ad una donna- e qualunque essere umano- innalzata  a feticcio della memoria personale o collettiva, come già  si poteva intuire  nel film che, per  economiche necessità  di Pirandello,  venne realizzato a Hollywood nel 1932, regia di George Fitzmaurice, protagonista Greta Garbo (più divina e ineffabile di così?).

Ed inoltre: la labilità di ogni ipotesi “circa l’origine ed il fine di colei che l’autore stesso definisce Ignota” appartengono alle velleità, allo sgomento, al fallimento di che crede “poterla far propria” , nel suo allusivo di-vagare dai “lussuriosi, peccaminosi” trascorsi germanici (Pirandello, da giovane,  visse e si svezzò a Bonn, rampollo della imprenditoria  siciliana d’ottocento) alle più invisibili, perniciose, morbose ingordigie della provincia veneta  in epoca fascista.

Sempre pedinata – la donna “de nulle part” come nel film di Delluc – da un fotografo invadente, petulante grillo parlante (argutamente reso da Memè Perlini), adatto a rammentare quella sorta di ‘inconciliabilità’ tra  vita- reale e vita-riprodotta che verrà parzialmente sublimata nella pianificazione narrativa del “Serafino Gubbio” e dei travagliati rapporti che intercorsero fra lo scrittore e “la nuova arte redditizia” (fondamentale, in questo senso, l’indagine dello storico Francesco Callari).

La nudità dello spazio scenico, la sua adattabilità all’ondulazione fra verismo ‘d’epoca’ ed evocazioni ‘incorporee’ fanno della rallegrante, evanescente, ‘ insolentita’  interpretazione  della Cardinale (attrice ed icona di  cinema) una non peregrina ri-appropriazione delle sue doti naturali e  della sua “distillata, ma non sfiorita” bellezza fisica. Sulla scena, tangibilissima- e non solo in ragione della conservazione fotochimica (o in home video), nelle refrigeranti  celle (frigorifere)di cui sono carenti quasi tutte le cineteche pubbliche.