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Agata MOTTA- “Minetti” a Palermo. Il miracolo di un’ “arte orrenda”

 

Il mestiere del critico



IL MIRACOLO DI UN’ “ARTE ORRENDA”

Roberto Herlitzka © Ansa

Roberto Herlitzka © ANSA/Ansa

Note su “Minetti” di Bernhard, di scena al Teatro Biondo di Palermo. Regia di Roberto Andò. Roberto Herlitzka grande protagonista

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E’ il crepuscolo dell’uomo e dell’artista, delle abitudini domestiche e delle ambizioni da palcoscenico, è il crepuscolo della società contemporanea, sopraffatta dall’abitudine all’ignoranza e all’assenza del bello, è il crepuscolo, coscientemente inseguito, del mondo classico e delle sue forme armoniche e rassicuranti. E’ soprattutto il tramonto di una vita che si affaccia al baratro buio della prossima fine con la fiammella accesa di un’ultima speranza.

Roberto Herlitzka interpreta in prima nazionale Minetti – Ritratto di un artista da vecchio di Thomas Bernhard, per la densa e palpabile regia di Roberto Andò, in scena al Teatro Biondo che dello spettacolo è produttore.

Il connubio tra regista e attore è di quelli davvero felici, un incontro da cui traspare un’affinità che va ben oltre l’affiatamento scenico e che fa intuire il confluire di percorsi umani e artistici che affondano le radici in territori comuni, in spazi pienamente condivisi.

La scelta di Herlitzka come protagonista appare calzante non tanto sotto il profilo anagrafico ma per quello che potremmo definire esistenziale: le parole di Minetti, grande attore novecentesco tenacemente amato da Bernhard, vengono assorbite spontaneamente dall’interprete, altro gigante indiscusso dei nostri tempi, che le propone con un autentico sapore di verità, alimentando la paradossale sensazione di non ascoltare una recita ma una confessione: è la finzione teatrale che si veste di realtà, è il miracolo di un’”arte orrenda” cui sono stati immolati la vita e poi il silenzio.

Ecco la situazione creata dall’autore: Minetti non recita da trent’anni, ma accetta di interpretare il ruolo che gli è più caro da sempre, quello di re Lear, ingombrante personaggio shakespeariano che ha vissuto il delirio di onnipotenza e la disperazione, maschera indossata ogni giorno nel chiuso di una camera nell’estenuante attesa di poter prendere vita sul palcoscenico. Il luogo è la hall di un elegante albergo, il tempo invece è concentrato nelle pigre e frenetiche ore della notte di San Silvestro. Minetti giunge munito di valigetta per aspettare il direttore del teatro che gli ha offerto l’occasione irresistibile.

Il regista indugia nella creazioni di atmosfere rarefatte (bellissime le luci sussurrate di Gianni Carluccio, cui appartiene anche la raffinata scenografia) di tanto intanto attraversate da figure inquietanti – un nano e il suo lento incedere dalla reception all’ascensore e viceversa – o in netta contrapposizione con lo stato d’animo del protagonista – allegre coppie dal volto coperto che si preparano ad affrontare l’anno nuovo – e anticipa nelle avverse condizioni atmosferiche quel processo di congelamento interiore dell’uomo posto di fronte alla sua ultima, sterile attesa.

A soccorrerlo giungono le parole, rovesciate come un fiume in piena o centellinate come preziosi distillati,  alle due occasionali interlocutrici che occupano, alternandosi, la poltroncina accanto alla reception, pure macchie di colore su una scena scrutata con precisione cinematografica. Ascoltano, o meglio subiscono, il maturo signore un po’ bizzarro che lancia strali sul mondo e sentenzia sull’arte come se ne fosse unico detentore e padrone.

Sono anch’esse in attesa di qualcosa o di qualcuno: uno squarcio alla propria solitudine la donna in rosso (Roberta Sferzi), un amore fresco e giovane la ragazza in nero (Verdiana Costanzo), entrambe elegantissime nei costumi di Gianni Carluccio e Daniela Cernigliaro. L’uomo vaga con rassegnazione nello spazio del recupero memoriale, si impenna nel disprezzo di chi ha voluto esiliarlo ma la rabbia sembra rattenuta, quasi frenata da una superiore saggezza acquisita nel continuo rimuginare fatti ed eventi.

Dichiara di aver sempre recitato “contro” il pubblico, di averlo voluto disgustare, di aver fatto della propria pazzia un metodo; è stanco e disilluso, ma forte della consapevolezza assoluta delle proprie scelte, taglienti, sanguinose, intrise di orgoglio nonostante l’abbandono del mondo della cultura ufficiale. “Se vogliamo raggiungere le nostre mete dobbiamo andare sempre nella direzione opposta”: sembrerebbe la fatica di Sisifo, invece condensa un’eredità spirituale.

In scena anche Pierluigi Corallo, Vincenzo Pasquariello e Matteo Francomano. Repliche fino al 13 marzo (con succesiva tournée).