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Agata MOTTA- Un’insormontabile diversità (“L’inverno sotto il tavolo” di Topor. Regia B. Mazzone. Teatro Libero, Palermo)

 

Il mestiere del critico

UN’INSORMONTABILE DIVERSITA’

“L’inverno sotto il tavolo” di Roland Topor di scena al Teatro Libero di Palermo. Regia di Beno Mazzone

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Si può vivere in subaffitto sotto un tavolo e passarvi un gelido inverno riscaldati dall’alito tiepido di un affetto nascente? Naturalmente non ci muoviamo nell’ambito della realtà ma in quello delle fiabe in cui tutto è possibile, perfino il trionfo dell’amore tra esseri umani lontanissimi per condizioni sociali ed aspettative di vita. L’inverno sotto il tavolo -testo del poliedrico autore francese di origini polacche Roland Topor, scomparso negli anni ’90, in scena al Teatro Libero per la regia di Beno Mazzone – è uno spettacolo da cui trasudano grazia e poesia, un piccolo gioco che accende la speranza in un futuro diverso, fatto di integrazione e di comprensione, specie in un momento storico in cui la Francia, dopo aver subito gli attentati terroristici, si chiude in stato di allerta.

Florence è una giovane donna della buona borghesia parigina alla quale il lavoro di traduttrice non consente una vita agiata. La soluzione tampone più a portata di mano è cedere una porzione del suo appartamento – la parte sottostante al tavolo per l’appunto-  ad un clandestino dell’Europa orientale che si arrabatta come ciabattino. Inutile dire che la situazione di per sé si presenta insolita e perfino buffa, ma la discrezione dell’uomo da una parte e il desiderio di compagnia della donna dall’altra si tramutano in ingredienti aggreganti e i quattordici quadri scenici nei quali si snoda la vicenda, scanditi dal buio e dal movimento di paraventi/pareti, si configurano come piccoli traguardi raggiunti in un rapporto in trasformazione che lascia spazio al sentimento e alla fiducia reciproca.

Mazzone lascia che siano la delicatezza e l’ironia del testo e la recitazione spontanea e fresca a catturare l’attenzione del pubblico, ma, accortamente, inserisce piccoli movimentati respiri musicali e corporei, quasi a ribadire che potrebbe essere tutto allegro e coinvolgente se non si trattasse purtroppo di una fiaba alla quale possiamo scegliere di credere se ci aggrada.

Dalla sua pozione subordinata, in senso fisico e in senso sociale, l’uomo cerca un contatto di voce e di gambe (le belle gambe di Florence che schizza su un foglio e che accendono desideri inconfessabili), mentre dall’alto la donna tenta ogni strada possibile per accorciare le distanze, per consentire a quell’uomo timido e disarmante di penetrare nella sua solitudine. Così, la ricerca di un bottone smarrito apre le porte ad un sensuale corteggiamento fatto di contatti rapidissimi e bollenti, annulla le differenze nel reciproco piacere della condivisione di uno spazio angusto in cui galeotto strizza l’occhio un minuscolo giardino giapponese.

Bella prove quelle offerte dai protagonisti: Domenico Bravo aderente sul piano fisico e morale al proprio personaggio, attrae nella sua involontaria trasandatezza, seduce in quel difficile contenimento da gentlemen delle pulsioni più elementari; Silvia Scuderi sfodera una falsa ingenuità, un candore da bambina che vorrebbe invece essere donna accanto all’uomo giusto, ma civetteria e provocazione si arrestano di fronte alla consapevolezza di una “diversità” insormontabile.