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Sauro BORELLI- Una donna contro tutti (“Joy”, un film di David O. Russell)


Il mestiere del critico

 

 

UNA  DONNA CONTRO TUTTI

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“Joy” il nuovo film di David O. Russell

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Il cosiddetto “sogno americano” negli ultimi tempi sembra un po’ appannato, ma David O. Russell ci crede ancora. Ed eccolo alle prese – dopo le buone prove di The fighter e Il lato positivo – con una sceneggiatura di Annie Mumolo che, debitamente rimaneggiata, si condensa ora in un film dall’icastico titolo Joy, che traccia, percorre a fondo la vicenda esistenziale di un’autentica self-made-woman, Joy Mangano, – oggi ancora viva e vegeta poco meno che sessantenne plurimilionaria – in amore e in guerra, oltre che col cinico mondo degli affari, con una famiglia sbrindellata capace soltanto di esigere soldi e comodità anche se del tutto inetta a combinare alcunché di veramente utile.

Joy è tutto qui. A riscattarlo, peraltro, dalla dimensione di una commedia (che si rifà spesso e volentieri alle garbate storielle di Frank Capra) c’è il talento davvero raro di David O. Russell che, fin dai suoi precedenti lungometraggi, ha assemblato un team di interpreti – in inspecie la bravissima Jennifer Lawrence, Bradley Cooper, Robert De Niro – che giostrano, nei rispettivi ruoli della protagonista, appunto l’irriducibile Joy, il suo inetto padre e il consigliere di complemento per le cose televisive, con una maestria assolutamente ammirevole.

Poi c’è, altresì, il racconto, all’inizio prospettato come un garbuglio di vicende, di personaggi sempre al limite della demenziale irrazionalità snocciolato, tra strepiti e sciocchezze intollerabili, dislocato nella casa inospitale dell’eponima Joy. Questa, con tre figli piccoli, un ex marito fannullone, un padre e una madre fuori di testa (la seconda vegetante davanti al video per guardare insulsi sceneggiati) e soltanto confortata da una cordiale, saggia nonna, soccorrevole verso quella sfortunata nipote, si risolve dopo desolanti tentativi di mettere un po’ d’ordine in quel programmatico caos, ad osare di creare qualcosa che possa trarre lei e la sua incongrua famiglia dalle ristrettezze, dai ricorrenti pericoli di fallimento totale.

Allo scopo subentrano nella pur confusa storia una sorellastra malevola, un manager televisivo, svariati altri tangheri determinati a sfruttare la risorsa risolutiva che l’indomita Joy ha saputo tirar fuori con la sua fantasia e capacità (fin da piccola espressa con giochini e trovare geniali). La cosa, in effetti, prende origine dall’idea di Joy di costruire un “mocio” – sorta di strofinaccio tuttofare particolarmente utile per agevolare il lavoro delle casalinghe – che, sulle prime, incoccia in difficoltà e problemi all’apparenza insolubili, poi – dai e dai, contro tutto e tutti – la coraggiosa Joy riesce ad avere ragione degli ostacoli, del boicottaggio di nemici e paradossalmente di amici (i soliti: il padre cialtrone ora accoppiato con prospera riccastra italiana impersonata spiritosamente da una imbolsita Isabella Rossellini, l’ex marito) oltre ai soliti faccendieri disonesti e minacciosi.

A questo punto allorché Joy, finalmente acquietata, ormai ricca e inattaccabile, continua a prodigare soldi e favori verso l’inetta masnada familiare, si profila – temibile – l’abusato “lieto fine” tipico delle commedie hollywoodiane. Ma, ben altrimenti, con uno scatto d’inventiva David O. Russell cava fuori dal suo più pregevole repertorio un finale più significativo. Joy – ricalcando le orme della vera signora Mangano – compare in primo piano con un certo sorriso paga del successo ormai acquisito e rafforzato da centinaia e centinaia di altre “invenzioni” lucrose. E, riandando con spirito tollerante ai giochi della sua trepida infanzia e alla sua amata nonna, dispensa ancora pillole di umana bontà e di bonaria comprensione persino per gli abietti componenti della sua famiglia ingrata e cinica. In tal modo Joy dà il colpo di grazia risolutivo al già patetico happy end convenzionale.

Resta da dire, giusto a proposito del personaggio centrale di Joy, che l’attrice che lo interpreta profonde per l’occasione prodigi di sensibilità, di originale estro espressivo. Tanto che la pur collaudata “compagnia di canto” che la asseconda in questa sua sofisticata prova appare quasi in subordine alla sua autorevole prestazione. Già titolare di un Oscar per una precedente pellicola, Jennifer Lawrence si accinge, di qui a poco, a concorrere, ad appena venticinque anni, per la sua seconda statuetta. Non sarà certo questo che la promuoverà grande star, ma innegabilmente un premio simile non guasta. Se lo merita tutto.