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Angelo PIZZUTO- Lo chiameremo Andrea (“De Gallo Bellico”, un film di Gianfranco Miglio)

 

Lo spettatore accorto



LO CHIAMEREMO ANDREA

Don Gallo (Don Andrea Gallo)

De Gallo Bellico Un film di Gianfranco Miglio (Roma. Cineclub Arcobaleno, Arci La Garbatella)

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In pochi forse ricorderanno che Andrea Gallo, sacerdote ‘di strada’, parroco della ‘liberazione, dell’accoglienza, della dignità degli ultimi’ (a Genova, Comunità di San Benedetto al Porto), completò il suo impervio, ardimentoso, ‘angelicamente anarchico’ tragitto terrestre pochi giorni prima che se ne andasse (anche) una sua cara amica e (talvolta) sodale: la grande e irripetibile Franca Rame, eccezione, anch’ella scomoda, nel   panorama assai bigio  dell’impegno civile fra gente di spettacolo, mirante nove volte su dieci a ‘farsi una posizione’ e vivere tranquilla (?) per il resto delle (eventuali) vacche magre. Furono, per quanto mi riguarda memorie da un crudele inverno, quelle del 2013, che uno dopo l’altro ci separarono amici, compagni, maestri di una generazione (penso a Lizzani, a Monicelli, a Di Giammatteo)  che riusciva a progettare, a far di conto  con la vita e le sue onde anomale  senza proclamare (o appellarsi) alla fine della Storia, delle Ideologie, delle Sorti Progressive.

Depistaggi, negazionismi, abiura d’ogni speranza che mandavano in bestia il caro, vecchio Andrea, partigiano e uomo di mare che abbracciò il sacerdozio a quasi trent’anni, dopo aver conosciuto piaceri e infelicità di una vita sospesa fra la dicotomia dell’Assoluto salvifico\trascendente o del Non Sense nichilista e autodafé. Ciascuno libero di ‘abbracciare’ una risoluzione o l’altra sino alle più estreme conseguenze, ma senza – per questo- doversi relegare alle categorie del mistico e del  reietto.

Gianfranco Miglio, uno dei documentaristi italiani più schivi, curiosi, acuminati (tra i primi, negli anni settanta, a cogliere lo spartiacque che ‘politicamente’ ci  separava dal reportage contemplativo, divulgativo, didattico, di cui furono maestri Pasinetti, Emmer, Ugo Saitta) fu molto vicino ad Andrea Gallo, se non dagli inizi della scommessa di San Benedetto al Porto, indubbiamente dagli anni in cui quel tipo di cristianità, evangelicamente intesa e praticata, iniziava a disturbare le gerarchie del clero e della Chiesa pontificale. Per oltre quindici anni il regista romano, coinvolto in ogni ambito del disagio socio\individuale, fece la spola tra Roma e Genova, spesso a sue spese, per aggiornare in presa diretta quel suo carnet di immagini, sequenze, angolazioni di quartiere, pubblici cortei di protesta, notti in pulmino a distribuire cibo e coperte tra  prostitute, barboni e a tutti a coloro i quali – cantava De Andrè- “il buon Dio” aveva smesso di “dare i suoi raggi”.

Testimone neutrale ma non impassibile, quasi ‘compagno di strada’ (il regista)  di un Andrea Gallo che, più passava il tempo più diventava  protagonista, suggeritore\contestatore, anima possente e referente (quel suo particolare modo di stare con lo ‘sguardo in macchina’) di una memoria cinematografica, capace di essere, allo stesso tempo, improvvisazione e ricerca, rimpatriata fra amici e feroce arma di denuncia: sino ai dolorosi eventi del G8 cui Miglio dedicò un documentario a parte. Probabilmente integrativo- quest’altro film- rispetto alla miglior comprensione del “De Gallo Bellico”, proiettato sere fa al Cineclub Arcobaleno del Circuito Arci (Roma Garbatella), che – ripetersi stanca ma serve- dovrebbe, ha il diritto di ‘ottenere’ una distribuzione televisiva, di prima grandezza, da parte di Rai Cultura (servizio pubblico di cosa se non di ciò?), invece delle programmazioni occasionali, indipendenti, a macchia di leopardo che Miglio ed amici riescono ad approntare, tra rincorse e peripezie, su territorio nazionale (isole escluse, fin’ora) e disinteresse totale di istituzioni preposte a quel che disdegnano fare.

Non dovendoci limitare alla massa corporea del film, indicheremo, progressivamente almeno tre delle sue qualità (che annotavamo la sera della Garbatella)

Il formidabile uso del montaggio con cui Miglio  disarticola “De Gallo bellico” nello spazio e nel tempo di  un ‘arbitrio d’autore’ in cui passato, presente e incognite future convivono e si intersecano con agilità di ritmo e cadenzato andirivieni di interviste, divagazioni, accavallarsi di volti ignoti ed altri per nulla (Ovadia, Vergassola, Luxuria, don Farinella) esposti con pari rilievo.

La presenza carismatica ma discreta con cui Andrea Gallo ‘abita’ il suo film, la semplicità, la sorpresa, persino la clownerie con cui riesce a riempirlo di aneddoti, ironie, piccole invettive che ne dilatano il valore umano e la rarità del suo esempio di vita

Le atmosfere del film, i suoi colori, ambientazioni, ‘saette’ umane che a San Benedetto hanno avuto accoglienza (indimenticabile il centenario Carletto, mingherlino ed emotivo, dinanzi a candelina, torta e regali il giorno del compleanno che freme nell’attesa di Andrea).   Che non potrebbero essere tali (nella loro sobria nitidezza di ripresa in video) se il tutto non accadesse, fosse accaduto e spero torni ad accadere a Genova, città mercuriale, intestina, scorbutica, tollerante come gran parte della sua gente più autentica e proletaria, venata d’un disincanto, d’una malinconia del ‘vivere in dolcezza e respiro di mare’. Che Andrea Gallo rese alchimia d’amore senza barriere e fobie (d’ogni risma e pregiudizio ).