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Agata MOTTA- L’intervista. Simone Cristicchi ed il ‘musical civile’ (al Biondo di Palermo con “Magazzino 18”)

 

L’intervista

 

SIMONE CRISTICCHI “IL MIO MUSICAL CIVILE”

Simone Cristicchi in concerto

Di scena al Biondo di Palermo con “Magazzino 18”

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Quanto inganna l’apparenza? Lo si direbbe un timidone Simone Cristicchi, con il suo sguardo così poco sfrontato e la matassa protettiva dei ricci scuri, eppure è una forza della natura, emana energia da tutti i pori. Non del tutto appagato dal successo come cantante e autore, felicemente ispirato dalla scuola dei cantautori italiani, con in testa Sergio Endrigo, si è lanciato con risultati sorprendenti anche nell’avventura teatrale, creando un mix tra testi e musiche di sicuro effetto e soprattutto dedicandosi a tematiche storiche e civili che mettono a nudo quella sua anima impegnata e riflessiva che sembra talvolta stridere con la sorridente ironia che si è affacciata talvolta nella sua produzione.

Al Teatro Biondo Cristicchi arriverà domani con Magazzino 18, spettacolo scritto con Jan Bernas, diretto da Antonio Calenda e prodotto da Promo Music/ Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. “Sono sempre partito da grandi silenzi: quelli del manicomio, delle miniere, delle guerre mondiali –  dichiara Cristicchi – dal giorno in cui, due anni fa, attraversai il vecchio portone del Magazzino 18, sono stato ossessionato dal silenzio imbarazzante che respirai lì dentro, tra le masserizie degli esuli in fuga dalla Jugoslavia del 1947”.

Il luogo della memoria che ha ispirato Simone Cristicchi si trova al Porto Vecchio di Trieste,  gli esuli vi lasciavano le loro proprietà in attesa di potersene impossessare nuovamente in futuro. Gli oggetti e i luoghi possono parlare al cuore e stimolare la ragione su percorsi opposti eppur convergenti: da una parte lo strazio e la poesia legati a cose che un tempo sono appartenute a persone dall’altra il dovere di ripercorrere con lucida razionalità le necessità storiche legate a quei luoghi e, di conseguenza, l’obbligo della memoria.

Dar voce al silenzio è forse una delle sfide più appassionanti che un autore possa affrontare.

Sì, in un certo modo ci si ritrova, come in questo caso, a risarcire almeno moralmente delle persone che non hanno avuto spazio né voce nella nostra storia. Questa è la storia di un grandissimo silenzio che come una pietra tombale ha coperto questi avvenimenti e con il teatro, con la poesia con la musica abbiamo cercato di riempire questo silenzio.

La documentazione storica è stata il punto di partenza o inizialmente si è trattato di un input poetico?

Inizialmente ho scritto una canzone di getto subito dopo aver visitato per la prima volta il magazzino e quindi con la musica c’è stato il primo approccio, il primo tentativo di raccontare questa storia; in secondo luogo mi sono imbattuto in una sorta di matrioska, perché dentro ogni storia ne trovavo un’altra, poi un’altra ancora con delle ramificazioni improvvise e inaspettate. Inizialmente  mi sono trovato di fronte a questo grande mosaico tutto da ricostruire e mi sono affidato sia a testimonianze dirette di chi aveva vissuto quell’epopea dell’esodo e, in secondo luogo, mi sono confrontato con degli storici che mi hanno dato una sorta di lasciapassare per poter salire sul palco e raccontare una storia in modo corretto.

Quanto peso hanno avuto le valutazioni politiche sulla storia da lei narrata?

Posso dire che nel 99% dei casi nessuno ha avuto da ridire sullo spettacolo, probabilmente dall’estrema sinistra sono arrivate le contestazioni più forti però di carattere ideologico-politico. Nello spettacolo si parla poco di ideologia, in realtà si parla soprattutto di questo grande dolore che ha coinvolto i nostri connazionali e le ideologie sono un sottofondo a questa storia. C’è chi ha voluto vedere un’operazione politica dietro Magazzino 18, ma chi lo ha visto veramente si è reso conto che erano tutte cose infondate.

Lei ha parlato di “Musical-Civile” per questa sua messinscena.

Io 5 anni fa ho debuttato con una narrazione in dialetto romanesco, Li romani in Russia, in cui raccontavo la storia della ritirata di Russia, ho poi proseguito il percorso con spettacoli sempre sulla memoria. Questa è la prima volta in cui il regista mi ha spinto a scrivere dei brani inediti per lo spettacolo, che sono otto, che in qualche modo hanno creato questo ibrido tra teatro civile e musical. Sono da solo in scena e interpreto vari personaggi, cambiando abito, cambiando voce e mimica. Per l’occasione però avrò il Coro dei bambini del Conservatorio con me sul palco a Palermo e quindi tutto prende questa forma particolare, perché si racconta comunque un fatto storico ma lo si fa attraverso gli ingredienti di un linguaggio se vogliamo più moderno del musical.

Per qualche tempo ha coltivato la passione per il fumetto; le capita mai di “costruire” le sue canzoni o i suoi spettacoli attraverso storyboard?

Il fumetto è un qualcosa che mi ha portato poi a scrivere proprio le canzoni come se fossero piccoli cortometraggi e quindi per me è stata una scuola fondamentale per narrare delle storie in tre minuti e mezzo. Sì, mi è capitato spesso e nel mio repertorio ci sono molte canzoni che somigliano a dei piccoli film da Studentessa universitaria a Ti regalerò una rosa a L’ultimo valzer.

Lo spettacolo resterà in scena fino al 24 aprile.