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Danilo AMIONE- Diverso parere. Allen prodigio (note su “Magic in the moonlinght”)

 

 

Cinema    Diverso parere



ALLEN PRODIGIO



Note su “Magic in the moonlight” di Woody Allen

 

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La quintessenza di Allen e oltre. In questo suo ultimo lavoro l’artista newyorchese si supera mettendo prodigiosamente insieme il teatro della messinscena e della parola(vedi Cecov e Schnitzler) e il cinema trasparente di Ophuls e Guitry. La vita, l’apparenza, la realtà e la finzione sono tutti “contenuti” nelle immagini con cui Allen fa del suo cinema uno strumento consapevole per raccontare l’ineffabilità delle cose umane, arrivando a dire allo spettatore di vivere in un sogno da cui ci si può svegliare oppure no. A ciascuno la scelta di farlo. Nell’uno come nell’altro caso a vincere è il piccolo Dio che ognuno è per se stesso. Il mago(un efficace Colin Firth) protagonista del film raggira lo spettatore ogni sera ma  proprio per questo non accetta che ad essere raggirato sia lui. Dietro ogni apparenza egli sa che c’è una ragione, una spiegazione, un motivo.

La giovane veggente (una deliziosa e brava Emma Stone) che tenta di smontarne le convinzioni viene da lui smascherata ma soltanto in apparenza, perché nella sostanza, alla fine, è lo stesso mago a darle ragione innamorandosene e cadendo dunque nel più grande e necessario dei tranelli:l’amore. Immateriale, non dimostrabile, invisibile, il sentimento umano è l’unica prova dell’esistenza del mistero, umano o divino che sia. Quello di Allen è ormai un cinema imprendibile, ineffabile, invisibile, i corpi sembrano dissolversi nei concetti per poi riapparire nelle loro necessaria fisicità, anche quando si muovono all’interno di un sogno. Per lui il cinema appare, scompare e riappare. Un mistero nel mistero.

E i medium che si mettono in mezzo fra la realtà e la sua apparenza siamo noi, gli spettatori. Incantati da immagini impalpabili e da prodigi affabulatori. Magia della realtà e conseguenziale  magia del cinema. Apparente semplice connubbio per chi lo guarda. Arte allo stato puro per chi lo mette in scena. Insomma  parafrasando l’Orson Welles de “La ricotta” pasoliniana, stavolta non per Fellini ma per Allen, possiamo affermare che “egli danza”.