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Agata MOTTA- Serata Papaleo (di scena a Palermo con “Una piccola impresa meridionale”)


Il mestiere del critico



SERATA PAPALEO

Al Teatro  Biondo di Palermo con “Una piccola impresa meridionale”

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Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Si dipana da questo incipit esistenzialista l’avventura semiseria di Rocco Papaleo e della sua personale formula di teatro canzone racchiusa in Una piccola impresa meridionale, di scena al teatro Biondo fino al 21 dicembre con la regia di Valter Lupo, che è anche coautore dei testi.

Lo spettacolo – che probabilmente sarebbe stato più opportunamente collocato in una cornice diversa da quella di uno Stabile – in realtà non è teatro e non è concerto, quindi, se ci si aspetta o l’una o l’altra formula, intese in maniera tradizionale, inevitabilmente si resta delusi. Se invece prevale la disponibilità all’abbandono ad una affabulazione quasi mai banale e ad una tessitura musicale inaspettatamente preziosa, la serata scorre liscia come l’olio e dell’artista si scoprono qualità che spesso il cinema non restituisce appieno: la gradevolissima e pregevole voce che si presta con disinvoltura allo swing, al jazz e ad un morbido rap, il carisma interpretativo che dimostra quanto il connubio con il regista sia particolarmente felice. Rocco Papaleo e Valter Lupo hanno costruito un intelligente lavoro sull’individuo – lo stesso Papaleo e i quattro componenti della band (Francesco Accordo, Jerry Accordo, Guerino Rondolone, Arturo Valiante) – e lo hanno pensato in modo artigianale come avrebbe fatto un sarto nel cucire una giacca su misura che non faccia false pieghe.

Al di là delle buffe biografie dei “personaggi” in scena, degli aneddoti surreali, delle impressioni raccolte in punta di penna, si sente palpabilmente l’urgenza di un vissuto reale intriso di malinconia: dalla malìa esercitata da un capobranco di paese al “pane e frittata di mia madre” consumato nello spazio aperto e libero di un adolescente in formazione, dal ricordo del padre e del groviglio dei non detti che la morte si porta sempre dietro alla palpitante speranza affidata con cieco amore al proprio figlio. Certo, si ride, anche, e spesso, e giungono in soccorso gli eterni motivi del sesso e dell’amore infelice, canovacci infallibili sui quali tessere con l’ausilio dei musicisti che si prestano al gioco e lo assecondano straripando da ruoli ingessati.

Sulla scena – efficacemente valorizzata dalle luci di Marco Palmieri – pezzi sparsi di luminarie di festa paesana, un muro sul fondale, un esterno in cui gli artisti agiscono come sulle vie di un qualsiasi luogo del Sud, con i suoi tempi diluiti e con quel senso perenne di inconcludenza così lontano dall’efficientismo settentrionale. I tempi soprattutto sono azzeccati, merito di una regia attenta ad alternare leggerezza e poetiche sospensioni, tempi giusti per uno spettacolo che è soprattutto lo spettacolo di Papaleo e della sua passione per la musica, unica protagonista femminile della serata.

 

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