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Agata MOTTA- Accostando Mozart alla Commedia dell’Arte (“Il flauto magico” al Teatro Libero di Palermo)


 

Il mestiere del critico



ACCOSTANDO MOZART ALLA COMMEDIA DELL’ARTE

Un flauto magico “a cappella”<br />per lo spettacolo al Teatro Libero” style=”opacity: 1;” /></p>
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“Il flauto magico” in edizione catalana al Teatro Libero di Palermo

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E’ stato allegro, brioso e assai applaudito l’avvio della 47^ stagione internazionale del Teatro Libero di Palermo, che propone una giovane e brillante compagnia catalana – la Companya dei Furbi di Barcellona –  alle prese con una gradevolissima e sorprendente riscrittura de “Il flauto magico” di Mozart.

Considerato il momento d’avvio del grande teatro tedesco, il lavoro mozartiano nobilita sotto il profilo musicale le forme consolidate del “Singspiel”, genere di ispirazione fiabesca e popolare, e contiene la profonda ambivalenza propria dell’autore con la mescolanza di elementi allegorici e fantastici, di meraviglioso e triviale, di toni alti e umili.

L’opera si è prestata nel tempo a molteplici interpretazioni, da quella in chiave razionale e illuminista a quella mistica, da quella massonica a quella politica: il percorso amoroso dei due giovani protagonisti è segnato da numerose prove e riti iniziatici, lo scontro tra i regni contrapposti della Notte e del Sole porta naturalmente alla vittoria del Bene, solo la Ragione -contrapponendosi all’istinto -produce effetti duraturi e positivi

La premessa non è oziosa, perché l’intelligente lavoro di sfrondatura della Compagnia, diretta con rigore da Gemma Beltran e David Costa (quest’ultimo per la parte musicale), non trascura nessuno di questi elementi, anzi riesce compiutamente a restituirli in uno scherzo scenico che non lascia nulla al caso e che, attraverso brevi battute di riflessione metateatrale, accresce il gioco ironico condotto su più livelli.

La collocazione temporale è subito negata da un semplice gesto – la mano che ferma il monotono ticchettio di un metronomo – e dai costumi scenici che spaziano dalle tute sterili ai preziosi abiti settecenteschi, dalle maschere antigas a quelle balinesi, dai pantaloni mimetici agli abiti clowneschi. La vicenda è ridotta all’osso, l’estrema scrematura del testo rende la lingua perfettamente comprensibile, i personaggi sono fissati nelle loro caratteristiche prevalenti – più tipi da Commedia dell’Arte che caratteri alla maniera goldoniana – i movimenti non sono danza vera e propria ma le somigliano per grazia e precisione.

Potrebbe già essere sufficiente per farne uno spettacolo che merita i riconoscimenti ottenuti, invece non è tutto, perché a farla da padrona è ovviamente la tessitura musica, intonata a cappella dagli attori-musicisti-performer che piace citare per la vivacità scenica, la naturalezza e la fluidità del canto: Anna Herebia, Queralt Albinyana, Alberto Díaz Ortiz, Albert Mora Vacas, Robert González, David Marcè. Anche la birichinata dell’uccellino carillon che, accostato alla zona equatoriale dei gentili personaggi, evoca allusioni pecorecce fa sorridere soltanto, come azzeccata risulta pure l’assenza del vero protagonista – il flauto – con il quale il giovane innamorato celebra il divino amor.

Si esce dal teatro gorgheggiando, o almeno tentando di farlo, comunque spensierati. E non è poco.